Quei “veci” che ci insegnano
Tante piccole storie della grande adunata alpina hanno colpito, hanno sorpreso, hanno commosso, hanno coinvolto. Per noi l’immagine indimenticabile è quella di migliaia di volti di vecchi, i “veci” nel linguaggio delle penne nere: volti rugosi, segnati, sotto i cappelli. Volti di ottantenni e qualche novantenne. Migliaia di irriducibili persone normali, che hanno impartito a tutti una lezione corale. Loro sono vecchi, e insegnano fiducia a tutti gli italiani. Sono sempre lì, tutti lì, tranne quelli che di adunata in adunata (la prossima l’anno venturo ad Asti) “vanno avanti”. Cioè lasciano la penna nera e questo mondo. Anche questo modo scarno e poetico di parlare di chi se ne va, colpisce e insegna.
In un’Italia sempre più nervosa, sfiduciata, pronta al litigio e alla rissa da cortile, graffiante e velenosa nei confronti di governi e autorità (chiunque sia momentaneamente al potere) , tra giovani senza presente e senza futuro, sgomentati da una vita precaria, ci sono migliaia di vecchi che ci danno lezione di concretezza, forza e fiducia. Ci esortano a credere, a fare, a sventolare bandiere. Nel nostro caso, anche a ricostruire ciò che è diruto. E’ una cura antiossidante, un farmaco rigenerante in dosi da cavallo, anzi da mulo. Quei veci insegnano, a L’Aquila sono arrivati e poi ripartiti 300.000 professori di vita. Niente e nessuno poteva dare un esempio più eloquente. Chi era incredulo, anche chi si lascia andare al pessimismo e al dissolvimento, ha imparato qualcosa.
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