Alpini, penne d’acciaio
Non ce n’era bisogno, gli Alpini li conoscono bene gli aquilani e la gente del cratere sismico. Avevano dimestichezza con loro storicamente, ne hanno apprezzato anche la riconosciuta validità militare in Afghanistan e altrove. Superfluo ribadire. Nel dolore, sei anni fa, gli Alpini hanno ancora dimostrato chi sono e chi sono stati. Come i Vigili del fuoco, non c’è necessità di sproloquiare e di elogiarli.
L’efficienza, la precisione, la geometrica presenza l’hanno verificata tutti in questi giorni, nelle ultime ore, anche osservando l’allestimento della cittadella al parco del Castello.
Insomma, parlando degli Alpini si sfondano porte aperte.
Nei prossimi giorni 70.000 di loro (tanti quanti gli abitanti rimasti nel comune dell’Aquila) sfileranno per 12 ore a conclusione dell’adunata. Forse non tutti immaginano di quali dimensioni si stia parlando. Qualcosa di mai visto per lo meno a L’Aquila, dove una fiaccolata di due o tremila persone (quella del 6 aprile di ogni anno) appare già imponente. La città è ormai grande nel senso della superfetazione urbanistica di CASE e map, ma è anche piccola nel suo cuore storico rimesso in piedi (si fa per dire) come uno scenario teatrale. Ovvero, vuoto dietro le quinte. Un po’ come Venezia sul Canal Grande. Dietro i palazzi non c’è quasi nulla. La gente è a Mestre e altrove.
Chi scrive una sfilata di Alpini ha avuto l’occasione casuale di vederla, anni fa. L’impressione è ancora viva, il senso di stupore palpabile nel ricordo.
E’ un’altra esperienza senza precedenti che la città si accinge a vivere. Forse era scritto, da qualche parte, che L’Aquila dal motto “immota manet” (o verosimilmente “manebat“), dovesse affrontare tante cose mai viste prima. Ma stavolta è una cosa buona, una prova di vita. Alpini, penne d’acciaio.
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