Domani questa foto sarà nella storia


L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – Domani, 2 maggio, la foto di inabruzzo.com che vi riproponiamo sarà un’immagine che comparirà in futuro sui libri di storia, o quel che saranno nel tempo a venire i supporti sui quali si leggerà o vedrà qualcosa. Fra poche ore, infatti, torna ai fedeli, ma anche ai non fedeli o a coloro che nelle chiese vedono solo imponenti monumenti umani, la basilica di San Bernardino. Molti la ritengono il simbolo dell’Aquila, mentre altri preferiscono come identificazione la basilica di Collemaggio, di certo più suggestiva, scabra, intrisa di misticismo e luogo di tanti misteri e racconti. Una vela di merletti litici rivolta verso il Sole al tramonto.
Gli aquilani, e non solo loro, pensano che le due chiese siano il cuore e il volto della città, insieme con la fortezza spagnola, le 99 Cannelle, alcuni palazzi del centro, alcuni scorci della tessuto urbano. La data del 2 maggio 2015 è certamente da scolpire. San Bernardino è davvero più bella di prima, il restauro è stato sapiente e colto, nessuno aveva mai visto l’edificio nella sua luce calda che doveva essere nella mente dei costruttori e degli ingegni artistici, che si sono susseguiti nel tempo con interventi e restauri precedenti.
La chiesa è un tributo alla bellezza, al fasto degli ori e delle decorazioni, ai colori dei dipinti. Fuori, di notte, è una pagina di rara bellezza, dovuta alla sapiente illuminazione della facciata, anch’essa opera d’arte a se stante.
La foto del campanile stroncato dal terremoto, però, non la dimenticheremo. Quello straziante moncone accanto alla sconquassata cupola sono, e furono, la ferita disperata del terremoto del 2009. Indelebile. La sconfitta dell’opera umana di fronte al mistero brutale e vendicatore della natura, che senza conoscere tempo e secoli, colpisce proterva e repentina, con furore. Sappiamo che l’uomo sa ricostruire, riedificare con fervore, tramutarsi in formica e ricollocare una pietra sull’altra tornando a salire verso il cielo con le sue precarie, silenziose costruzioni.
O forse crediamo di sapere. Ma, fragili animule perse, non molliamo, non ci arrendiamo, pur consapevoli che – alla fine – la natura dirà l’ultima parola. E prenderà tutto il piatto della impossibile partita. Come nel celebre film di Bergman, è la partita con la morte.
Non dimentichiamo quel campanile, e andiamo avanti, Jemo ‘Nnanzi, come alcuni generosi hanno chiamato il loro movimento. Un nome condivisibile. I fasti, i fastigi e gli ori zecchini della basilica, per ora, risplendono. Il suo soffitto prezioso è il soffitto di tutti gli aquilani: è come se si fosse voluto intarsiare artisticamente il cielo che è più sopra. Che spesso è lontano e indifferente, silente come il fato dei Greci, padrone anche degli dei, che gli sono anche loro sottoposti.
C’è chi pensa che la commozione più profonda, e dunque creativa, sta proprio nella consapevolezza del silenzio dei cieli, che l’uomo cerca di vincere (o dimenticare) edificando, adorante e tragicamente solo, capolavori. Guizzi di luce nelle tenebre. Con i quali spera di superare il silenzio di Dio e del suo smisurato Universo di gelo e casualità. Ricolmo di materia oscura e indecifrabile.


01 Maggio 2015

Categoria : Cronaca
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