Arriva “Softhand”, mano robotica amica della disabilità
(a cura di Flavio Colacito – psicopedagogista). Per la ricerca e l’innovazione made in Italy è un notevole passo avanti, ma anche una speranza per le tantissime persone che, a causa di un incidente oppure una malattia, hanno perso l’utilizzo della propria mano: di che cosa si sta parlando? Della prima “mano artificiale” naturalmente, uno strumento avanzatissimo nato grazie alla collaborazione tra Inail e Istituto italiano di tecnologia (Iit), messo a punto come primo prototipo completamente progettato e realizzato in Italia e di derivazione robotica. L’arto robotico è stato presentato da poco a Roma, alla presenza del ministro della Salute Beatrice Lorenzin e di quello del Lavoro Giuliano Poletti e il suo nome è “Softhand”, un complesso sistema è messo a punto al Centro protesi Inail di Budrio attraverso l’uso di materiali quali plastica e metallo e anche grazie e all’impiego della stampa 3d, risultando un prototipo estremamente leggero non superando il mezzo chilo di peso. Secondo il direttore scientifico dell’Iit Roberto Cingolani la mano artificiale è “ispirata completamente a una vera mano”, poiché l’obiettivo finale in progetti di questo tipo è determinante “cercare di imitare la perfezione della natura”. “Softhand” è composta da un tendine artificiale, in grado di riprodurre la maggior parte dei movimenti, in particolare fondamentali funzioni quali la presa e rilascio delle dita, risultando al momento agevolmente controllabile da chi la indossa, in quanto le ricerche condotte durante la fase dello sviluppo del progetto sono state sperimentate e convalidate su paziente. Infatti nel corso del dibattito che ha visto la presentazione della protesi è stato portato l’esempio di Marco Zambelli, il primo paziente che ha avuto la possibilità di cimentarsi con le funzionalità della nuova mano. La protesi risulta essere equipaggiata da due sensori elettromiografici posti sull’avambraccio in grado di captare i segnali elettrici inviati dal cervello ai muscoli residui e, attraverso un processo di decodifica, rinviati in tempo reale alla mano. Fondamentale è stato il periodo di addestramento di Zmbelli, necessario a fare in modo che il paziente sperimentatore imparasse ad utilizzare la protesi correttamente per compiere attività complesse, quali lo spostamento di oggetti, l’impilamento di blocchi l’uno sull’altro, il versamento dell’acqua,per finire con la scrittura, oppure lavorare al tornio o impiegare il trapano. Inail e Iit, rappresentati dai loro esperti, sono fiduciosi sui tempi di diffusione della mano robotica, tanto da prevedere entro il 2017 l’ufficializzazione del passaggio da prototipo a mezzo d’uso vero e proprio per tutti i pazienti, al termine di un’ulteriore fase di sviluppo preclinico e la costituzione di una startup innovativa che dovrebbe occuparsi di valorizzare e commercializzare la tecnologia. Attualmente l’Istituto Italiano di Tecnologia è comunque al lavoro con altri centri di ricerca per implementare altri sistemi robotici, tra cui una protesi per la caviglia e un esoscheletro, dedicati ai soggetti con disabilità con il chiaro intento di far comprendere come la ricerca non solo migliori la vita di chi è affetto da disabilità, ma dia all’Italia un ruolo centrale nella scienza.
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