In fondo al tunnel un chiarore, è la bellezza
L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) –
SEI ANNI DALLA PERDITA DI UN LUOGO -
In fondo al buio del tunnel senza luci a tracciarne la prospettiva, come nelle gallerie stradali, balugina un chiarore di bellezza. A molti di coloro che sei anni fa persero un luogo, quello in cui vivevano e avevano costruito il proprio mondo, pare di percepire un tremolante bagliore, un sintomo di alba. Dopo quasi 2.800 giorni.
309 – è vero – non ci sono, dormono sulla collina, come nei versi dell’Antologia di Spoon River. O forse ci sono, sono in un altrove, partecipano, aspettano.
L’Aquila – per tre volte nella sua storia distrutta dai furori geologici e tre volte rimessa in piedi nei secoli – dà segni di vita, si stiracchia, sbadiglia. Si sta risvegliando. E’ la magia della bellezza?
La ricostruzione, che c’è ed ha risorse per esserci, garantite da un governo, sta portando qualcosa che non c’era. Palazzi bellissimi pieni di luce solare. Chiese e fontane. Strade, aiole, giardini, spazi culturali, progetti da ammirare per ora sui rendering. La mai vista muraglia medievale rimessa su pietra su pietra, ripulita, strappata alle debordanti invasioni vegetali, con le sue torri, le sue insolite prospettive arrampicate sulle alture e sulle pendenze. Sarà bellissima, illuminata, degustabile da camminamenti da torre e torre. La città apparirà a chi giunge da lontano annunciata da una viabilità finalmente decente, e racchiusa orgogliosamente tra le sue mura e torri merlate. Con cupole, campanili, scorci di tetti, logge, abbaini, vetrate, camini, cuspidi di chiese e cattedrali. Vi si entrerà a piedi senza più dazi e balzelli da pagare, da una porta chiamata Barete, se mai la rivedremo (sana o a mozziconi, non importa).
La bruttezza insanabile delle periferie resterà fuori: non potrà abbellirla nessuno. Ma il cuore piccolo e aggraziato dell’antica città-solotto sarà pulito, ordinato, per di più L’Aquila – domani – sarà anche smart. Com i suoi magici sottoservizi. E, se la logica ha un senso, ciò che sarà in piedi, sarà anche abbastanza antisismico. Non del tutto, e chi se lo aspetta… Ma più di oggi e di ieri.
Tutto questo percepiscono gli aquilani, oggi a sei anni dalla perdita del loro luogo, che è dolorosa e straziante più di quanto possa capire chi non l’ha provata. Vedono che la bellezza avanza, è voluta, progettata, un po’ anche attuata. Sanno che gli amministratori stanno strappando allo Stato e al Governo il diritto di esserci di nuovo, perché in Italia esserci è il risultato di una strenua battaglia. Non il primo dei diritti.
La scelta del bello è il merito più gratificante per chi lo ha voluto come regola. Ed è anche la causa della percezione di luce, che ognuno avverte, anche senza accorgersene. Un giorno annalisti e storici (ne esisteranno ancora?) scriveranno: “Nel sesto anno dalla distruzione, si ebbe un inizio di rinascita”.
Poco importa contare quanti vedranno la rinascita. Non si arriva mai tutti quando si è partiti in tanti, marciando incontro ad un Mar Rosso che non sempre si spalanca per accogliere l’esodo.
Ci sarà, però, L’Aquila del futuro. E’ la novella del sesto anno, che abbiamo cominciato a narrare, e altri concluderanno.
(P.S. – Nelle lunghe chiacchierate di tanti anni fa con Massimo Cialente debordante di idee e progetti per il futuro, emergeva che lui sognava una città bella, da mettere insieme cambiando e creando. Non sapeva, né noi sapevamo (come avremmo potuto?), che ci sarebbe voluto un terremoto per strappare alla pietra la statua che aveva dentro, come faceva Michelangelo. Ma oggi qualcosa sta accadendo, la bellezza spunta poco a poco. La creatura compare dall’uovo che si frantuma.
Diciamo con il poeta più grande dell’antichità latina, Lucrezio: «Nemmeno il tempo sussiste come entità: sono le cose stesse che creano il senso di ciò che è scorso negli anni, di ciò che dura nel presente, di ciò che poi seguirà: nessuno può avvertire il tempo di per sé, avulso dal moto e dalla placida quiete delle cose.» Einstein, millenni dopo, gli ha dato ragione. Noi, umilmente, restiamo muti.
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