Frane, un disastro senza limiti e un mare di soldi necessari, ma gli enti sono al verde
L’Aquila – Sabato per l’ “ora della terra”, una manifestazione ambientalista per la salvaguardia del territorio e minori consumi energetici, in diversi centri abitati si spegnerà la luce come segnale di adesione e partecipazione. Ma forse è una manifestazione poco gradita a chi la luce l’ha già spenta da settimane. Esattamente dal 4 marzo, giorno di inizio del maltempo diffuso (vento, tempeste, neve, piogge alluvionali), infatti, decine di migliaia di abruzzesi combattono contro la mancanza di acqua e di corrente elettrica.
Ad oggi, sono almeno 30.000 in dieci comuni costretti a vivere come nel dopoguerra: acqua dalle autocisterne, quando va bene, generatori elettrici che funzionano a singhiozzo e si spengono quando la domanda di corrente sale, strade interrotte, frane enormi e immense, almeno 230 si calcola. Ci sono centri isolati come Fraine, costretti a lanciare appelli disperati per farsi ascoltare da qualcuno.
Montagne e colline che scivolano a valle, suolo che sprofonda o si frattura, crepe lunghe e serpeggianti, fango, acqua che emerge dal suolo, interi boschi che spariscono. Case distrutte o minacciate, gente evacuata, persone che sanno che non potranno tornare mai a casa loro.
Secondo una stima che pare sia stata elaborata in Regione, occorrono circa 600 milioni subito.
Occorre anche la dichiarazione di stato di calamità , che serva ad aprire i cassetti e i forzieri. In Italia una calamità naturale non basta averla sotto gli occhi: per esistere occorre che qualcuno ne dichiari l’esistenza, che un burocrate timbri una carta firmata da un politico, che deve ascoltare altri burocrati e altri politici, dichiarare, promettere esibirsi sotto i riflettori, dopo aver sfilato in passerella nei luoghi del disastro. Magari in abbigliamento da esploratore, ben vistosamente firmato e griffato.
I conti dei danni si presentano, di solito, a comuni e province. Enti che ormai hanno registrato una risposta standard che riproporre in ogni occasione, come una segreteria telefonica collettiva: “Non ci sono i fondi. Occorre tanto, ma sono soldi che non abbiamo, abbiamo bussato alla Regione…”.
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