“L’uomo carbone”, Marcinelle per gli studenti


di Goffredo Palmerini –
L’Aquila – Sabato 21 marzo è una bella giornata di sole all’Aquila. L’inizio della primavera è splendente, nel parco del Castello cinquecentesco. Molti giovani si godono l’insolito tepore in attesa dell’apertura dell’Auditorium progettato da Renzo Piano, dove alle 10 il Teatro Sociale di Pescara porta in scena “L’Uomo – Carbone”, un dramma scritto nel 2010 da Michele Di Mauro e Federica Vicino. L’iniziativa, promossa dalla prof. Luciana De Paolis e prontamente accolta dalla dirigente Serenella Ottaviano, è destinata agli studenti degli Istituti Superiodi di Studi “Leonardo da Vinci” e “Ottavio Colecchi” dell’Aquila. Gli studenti possono così conoscere un pezzo di storia dell’emigrazione italiana in Belgio, attraverso il drammatico racconto della vita nelle miniere di carbone, fino a quel tragico 8 agosto del 1956, quando nella miniera di Bois du Cazier, a Marcinelle esplose la tragedia che fece 262 vittime, tra cui 136 italiani.

Pagina luttuosa della nostra emigrazione, purtroppo non la sola – quest’anno ricorre il 50° anniversario della tragedia di Mattmark, in Svizzera -, che richiama la responsabilità di far conoscere la diaspora italiana per il lavoro nei cinque continenti. Ora all’estero sono 80 milioni gli oriundi italiani delle varie generazioni. Un’altra Italia, più grande di quella dentro i confini, che ha saputo farsi apprezzare, conquistando rispetto e prestigio in ogni angolo del mondo dove il talento e la creatività dei nostri emigrati si sono affermati in ogni campo. E’ necessario, quindi, che il rilevante fenomeno migratorio italiano, con i suoi risvolti sociali, economici e politici, entri finalmente nelle scuole e nelle università.

Ecco, dunque, l’importanza di questa iniziativa, germinata l’anno scorso a Torricella Peligna durante il Festival “Il dio di mio padre” dedicato a John Fante, dove nel focus riservato all’emigrazione venne presentato il romanzo “L’Uomo – Carbone” (SensoInverso Edizioni, 2013) di Michele Di Mauro, che lo stesso autore ha scritto dopo aver composto, nel 2010, l’omonima in pièce teatrale. In quell’occasione, presente la prof. Luciana De Paolis, nacque con lo scrittore l’idea di proporre l’opera agli studenti aquilani, ora diventata realtà grazie anche alla collaborazione delle docenti Ventura Cinque, Sara Ricci, Marcella Gigante e Nadia Drago che sul tema delle migrazioni hanno svolto con gli studenti una puntuale progetto di studio e riflessione, del quale hanno dato un saggio come anteprima allo spettacolo, esponendo i lavori della loro ricerca. Ma veniamo all’opera di Michele Di Mauro, con lo stesso autore nelle vesti di attore, rappresentata con forte intensità dagli attori del Teatro Sociale di Pescara, per la regia di Federica Vicino, che collaborò alla stesura del testo.

Una performance davvero eccellente. Un pugno allo stomaco. Commovente. Gli attori fanno il miracolo di portare all’attenzione e al silenzio gran parte degli studenti che, durante l’esposizione del loro lavoro di ricerca prima dell’inizio dello spettacolo, non facevano altro che parlare tra loro, creare disturbo o immergersi nella contemplazione dei loro telefonini. Poi il dramma li ha assorbiti e coinvolti, in un silenzio assoluto e con l’emozione che si taglia a fette. Potenza della drammaturgia e del suo linguaggio, che sa portare le storie direttamente al cuore degli spettatori, in quel colloquio diretto, quasi carnale, che solo il palcoscenico riesce a stabilire tra attori e pubblico. Forte la recitazione di Michele Di Mauro e dei suoi colleghi attori. Un lungo, convinto applauso liberatorio scioglie il groppo in gola che ha preso gran parte del pubblico, talmente coinvolgente è stata la narrazione scenica della vita in miniera attraverso la vicenda umana dei due fratelli minatori, Antonio e Sandro – la pièce racconta una storia vera -, fino a quella mattina dell’8 agosto 1956, quando si consumò la tragedia. Sandro si salvò solo per non essersi svegliato in tempo per scendere a lavorare nel Pozzo numero 1 della dannata miniera di Bois du Cazier, a Marcinelle.

Nel secondo dopoguerra, tra Italia e Belgio, il 20 giugno 1946, fu stipulato un accordo che prevedeva l’invio di 50mila lavoratori in cambio di carbone. Il Belgio concedeva quindi la possibilità di occupazione nelle sue miniere di carbone, riconoscendo all’Italia per ogni lavoratore la fornitura di un certo quantitativo di carbone. Questo romanzo di Michele Di Mauro, e l’opera teatrale da cui è ispirato, ci proietta sotto terra insieme ai minatori che hanno versato sudore e sangue per inseguire i loro sogni, scoprendosi poi come topi in gabbia, in condizioni di lavoro disumane e senza vie di scampo. “L’Uomo-Carbone”, sia il romanzo che il dramma teatrale, racconta con grande efficacia la miniera, attraverso la narrazione di Antonio e Sandro, due fratelli originari di un piccolo paese d’Abruzzo. Dopo un tragico incidente in miniera, in cui il padre perde la vita, i due fratelli acquisiscono come risarcimento il diritto di andare a lavorare in Belgio. Mentre Antonio, il maggiore, è entusiasta di questa opportunità, Sandro – diverso dal fratello per carattere e inclinazioni, sognatore ed amante dei libri – vive invece tale situazione con rabbia, considerandola uno squallido baratto, persone contro carbone. Una volta in Belgio, nella miniera dove sono destinati, conoscono molti connazionali, discutono di sogni ed aspettative, ma si scontrano con la cruda realtà delle condizioni di lavoro, con le vessatorie clausole del contratto, con la diffidenza dei cittadini belgi. La lettura del libro, come lo spettacolo, rivelano efficacemente l’altro di questa storia. Michele Di Mauro, autore del volume e del dramma teatrale, è nato nel 1973 a Lesina, in provincia di Foggia. Si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Chieti. Cardiologo e cardiochirurgo, con un forte impegno sui temi sociali, dagli anni ’90 Di Mauro si è dedicato al teatro, come autore ed attore. Nel 2006 ha fondato, insieme a Federica Vicino, il Teatro Sociale di Pescara, che produce pièces teatrali inedite a carattere storico, sociale e civile. Considera come una specie di missione civile portare, dal 2010, nelle scuole e nei teatri questo dramma “L’Uomo Carbone”. Con tutte le motivazioni possibili, se ripercorriamo la storia.

L’8 agosto del 1956 la tragedia nella miniera di Bois du Cazier, a Marcinelle, rivelò con i numeri del disastro – 262 morti di cui 136 italiani – l’immane dimensione del sacrificio abruzzese, con 60 vittime, in gran parte originarie di Manoppello, Lettomanoppello, Tuttivalignani, Roccascalegna, Farindola. Una tragedia sul lavoro che denunciò la sommarietà se non l’assenza delle condizioni di sicurezza in miniera, la lacunosità della previdenza e dell’assistenza ai lavoratori, il vergognoso contratto tra i due Stati, per il quale i lavoratori destinati in miniera avevano rilevanza solo per assicurare le forniture di carbone all’Italia. La tragedia, con la dolorosa eco che immediatamente si diffuse in Italia e nel mondo, costrinse i parlamenti e i governi a scrivere norme per la sicurezza sul lavoro e la previdenza. Quella data e quella tragedia sono ora state riconosciute nella memoria collettiva del nostro Paese, come Giornata del lavoro italiano nel mondo.

Ci sono stato io, a Marcinelle, due anni fa. Sono stato un’intera giornata nella miniera di Bois du Cazier. Mi sono fermato a riflettere, nella stanza del Memoriale delle vittime. Ho letto i nomi delle 60 vittime abruzzesi: 23 erano di Manoppello, 6 di Lettomanoppello, 6 di Farindola, 9 di Turrivalignani, 6 di Roccascalegna, 2 di Castel del Monte, e una vittima ciascuno di Alanno, Elice, Rosciano, Casoli, Castevecchio Subequo, Sant’Eusanio del Sangro, Ovindoli e Isola del Gran Sasso. Le altre vittime italiane provenivano dalla Calabria (4), Campania (2), Emilia Romagna (5), Friuli Venezia Giulia (7), Marche (12), Lombardia (3), Molise (7), Puglia (22), Sicilia (5), Toscana (3), Veneto (5) e Trentino (1). Al processo che seguì, l’unico condannato, in appello, fu il direttore dei lavori. Nel locale delle testimonianze sono apposte le targhe commemorative, da tutta Europa. La miniera di Bois du Cazier, a Marcinelle, per preservarne la memoria imperitura contro i tentativi di cancellarne la storia, trasformando la destinazione d’uso del luogo, è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Tante cose sono cambiate da quegli anni, per i nostri emigrati in Belgio. Oggi l’Abruzzo può andare fiero d’un fatto straordinario: il figlio d’un emigrato abruzzese di San Valentino, in provincia di Pescara, è diventato Primo Ministro del Belgio. Elio Di Rupo è motivo d’orgoglio per l’Italia e per l’Abruzzo, terra dei suoi padri.

Il progetto di ricerca che le due scuole aquilano hanno sviluppato e la rappresentazione teatrale “L’Uomo-Carbone” sono state iniziative importanti per far conoscere agli studenti una piccola parte della storia dell’emigrazione italiana, attraverso la tragedia di Marcinelle e il lavoro nelle miniere. Credo che nei viaggi d’istruzione le scuole italiane dovrebbero inserire una giornata a Marcinelle, al Bois du Cazier. A cominciare dalle scuole superiori dell’Abruzzo. Si dovrebbe studiare quella tragica vicenda e visitare quella miniera. Una pagina nera del lavoro italiano all’estero, non la sola purtroppo. Oggi siamo portati a celebrare la parte gloriosa dell’emigrazione italiana, i tanti successi raggiunti dai nostri emigrati. Ma talvolta sfugge ciò che c’è dietro in termini di sacrifici, pregiudizi, umiliazioni e morti, prima che gli italiani abbiano potuto finalmente affermarsi, riscattare una vita dignitosa, conquistare stima e prestigio per il loro talento e la voglia di farcela. E’ un compito, questo, che spetta alle istituzioni, cancellando quella specie di rimozione dalla memoria del fenomeno migratorio italiano. Spetta alle scuole e alle università studiare e fare ricerca sulla nostra emigrazione. Non è più accettabile che la storia dell’emigrazione, che ha coinvolto milioni d’italiani a cavallo di due secoli, non entri ancora pienamente nella Storia d’Italia.


23 Marzo 2015

Categoria : Cultura
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