Dire donna, una volta e per finta


Di Carlo Di Stanislao
Essere donna non è facile, in nessun luogo del mondo. Non è facile per ciò che ad ogni donna si richiede e non è facile per il valore che ad essa si attribuisce. Oggi, nel giorno in cui tutti, tv, radio, televisione ed anche operatori di reti telefoniche e di web inneggiano alle donne, ci viene in mente che nei loro “non compleanni”, cioè in 364 giorni l’anno, le donne sono dimenticate, vilipese, uccise, fatto oggetto di mercato ed di indifferenza, costrette al triplo di fatica per ottenere meno della metà, talvolta solo il diritto ad esistere.
E se nel mondo occidentale si reclama una politica che non prometta solo, ma operi attraverso una maggiore presenza e partecipazione delle donne nei luoghi lavorativi ed in quelli decisionali quale leva per sollevare il Paese dalla recessione; se questo richiamo è forte nel messaggio del Presidente Mattarella che, rifacendosi all’articolo 3 della Costituzione parla della necessità di un nuovo welfare attento alle esigenze femminili, con servizi per l’infanzia, efficienti e tarati in base al reddito; lavoro part-time per padri e madri, senza comprometterne la professionalità ed ancora potenziamento dei servizi di assistenza per gli anziani, visto che nel Sud Italia è ancora una responsabilità familiare tutta femminile; in quello delle minori garanzie i problemi femminili sono ancora maggiori, come documenta l’impegno e il sacrificio delle ragazze curde, protagoniste della resistenza a Kobânê e la sofferenza delle loro coetanee costrette a vivere sotto la legge coranica imposta dallo Stato islamico.
Essere donna è impegno gravoso, in ogni luogo ed in ogni momento dell’anno e non possiamo davvero credere che tutto sia risolto con un giorno di mimose.
Non c’è festa più ipocrita dell’8 marzo, scrive su il Fatto Quotidiano Daniela Ranieri, con truppe di scalmanate che si riversano nelle pizzerie per darsi alla trasgressione che è un calco deprimente di quella maschile, che fanno il gioco di chi, nel tempo, ha trasformato la ricorrenza inventata dalle tetragone operaie della Russia pre-rivoluzionaria in una specie di Carnevale del sessismo mascolino e benevolo, in cui vengono sovvertite tutte le regole a patto che il giorno dopo si riaffermi lo status quo.
Con Luisella Costamagna ho sempre pensato (avendo esempio ben altri in casa di autentiche donne), che la Festa della Donna sia una ignobile sconfitta della civiltà oltre che della donna, un modo odioso per dire, ma una sola volta l’anno, che “le donne sono un patrimonio” e per ritardare, soto copertura, la legge sul femminicidio infilandoci anche le Province e dimenticare del tutto temi come le parità occupazionale, di retribuzione e di carriera.


08 Marzo 2015

Categoria : Cultura
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