Giorno ricordo, messaggio Di Pangrazio


L’Aquila – “Appena 15 giorni fa ci siamo fermati a riflettere sulla Shoah, uno dei genocidi che ha contrassegnato il secolo scorso. Seppure con numeri piu’ contenuti (ma i numeri sono sempre persone!) anche la gente d’Italia e’ stata toccata dall’abisso profondo che l’uomo sa fabbricare per i suoi simili, creando civilta’ nemiche, ostentati disprezzi, capri espiatori generati dai peggiori istinti che abitano l’essere umano.
Il tema richiamato da questa giornata e’ stato inserito all’ordine del giorno della seduta del Consiglio regionale in ossequio alla legge n. 92 del 2004, con la quale la Repubblica italiana ha riconosciuto il 10 febbraio quale Giorno del Ricordo, al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra, e della piu’ complessa vicenda del confine orientale”.
Cosi’ il presidente del Consiglio regionale, Giuseppe Di Pangrazio, nel suo intervento pronunciato oggi in aula inoccasione del ‘Giorno del Ricordo’. “Foibe: e’ un vocabolo derivato dal latino “fovea”, che significa fossa, abisso, crepa profonda del terreno. Fino a pochi anni fa il termine si trovava solo nei testi di geologia: sono voragini sotterranee che si formano nelle zone calcaree ad opera dell’erosione dell’acqua. Si rivelarono luoghi ideali per uccidere e nascondere i cadaveri. Tutto comincia nei primi anni della guerra – ha ricordato il presidente – quando i tedeschi e i fascisti, aiutati dagli ustascia croati, iniziarono le persecuzioni contro la popolazione locale, creando i primi infoibati. Dopo l’8 settembre, le zone controllate dagli italiani finirono in balia dei partigiani locali jugoslavi, e comincio’ la resa dei conti. Nell’autunno del ’43 e durante la primavera del ’45, le foibe rappresentarono il simbolo di una tragedia spaventosa che colpi’ la popolazione giuliano-dalmata, quando alcune migliaia di persone vennero uccise dai partigiani di Tito e i loro corpi furono gettati in parte in quelle voragini, in parte nelle fosse comuni o in fondo all’Adriatico: molti non tornarono dai vari luoghi di prigionia. Anni di eccidi e di stragi sui quali e’ sceso un lacerante silenzio, sino alla fine del secolo scorso, quando furono raccolti e resi pubblici i numeri delle vittime: oltre 5.600 quelle delle foibe (3.500 nella sola Basavizza); piu’ di 3.200 i morti nelle prigioni e nei campi di concentramento jugoslavi. Una drammatica serie di eventi taciuti e rimossi, che una legge dello Stato ha voluto riportare alla luce e al ricordo”.
“La data del 10 febbraio – ha quindi ricordato Di Pangrazio – e’ stata scelta in riferimento al giorno in cui a Parigi, nel 1947, venne firmato il Trattato di pace in conseguenza del quale buona parte della Venezia Giulia fu ceduta alla Jugoslavia di Tito, sancendo cosi’ l’abbandono di citta’ e paesi della sponda orientale dell’Adriatico, dove la presenza italiana era percentualmente maggioritaria. Si’ e’ consumato uno dei piu’ drammatici episodi in cui e’ stata coinvolta l’Italia con il suo popolo, nell’eterno conflitto tra Stato di diritto e Ragion di Stato, con l’interminabile miscuglio di verita’ storiche e verita’ da raccontare (o da occultare!), quelle che attengono al pensiero dominante, al potere forte, che non vogliono che le realta’ si affermino, possano essere dette e giudicate. Le foibe sono una verita’ amara, una dolorosa realta’ in cui la Ragione di Stato ha prevalso sullo Stato di diritto e sui diritti delle persone, dei cittadini, coinvolgendo in seguito circa 350.000 italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, costretti a un esodo durato due anni (dal ’45 al ’47): campi profughi e centri di accoglienza – alcuni dei quali rimasti attivi fino al 1970 – in un’assistenza temporanea che divenne un lungo calvario. E quelle terre di confine sono rimaste troppo a lungo luoghi di conflitto latente, luoghi di silenzio e di vergogna trattenuta…fino a un giorno significativo, a quel ‘concerto di riconciliazione’ del 14 luglio 2010, tenutosi alla presenza dei tre Presidenti della Repubblica d’Italia, di Slovenia e di Croazia, diretto dal maestro Muti, con 360 giovani musicisti e coristi dei tre Paesi coinvolti. Fu eseguito il Requiem di Cherubini, ‘una musica innalzata nel cuore di Trieste’ – come disse Muti – ‘per dare pace e riposo a tutti i morti, a chi ha sofferto e subito tragedie e perdite fratricide’. Per tutto questo, credo sia indispensabile tenere vivo il ricordo – come stiamo facendo oggi – e tenere sempre in mente che lo Stato di diritto non e’ qualcosa di ovvio. La sua valenza esige un continuo risveglio delle coscienze: per l’Italia, per l’Abruzzo, oggi protesi verso un’Europa dei cittadini e dei diritti, non soltanto un’Europa dei mercati e delle ragioni di Stato. E dunque – come e’ stato gia’ indicato per il giorno della memoria – come Consiglio regionale – ha annunciato Di Pangrazio – sapremo individuare per il prossimo anno un’iniziativa da sostenere come ‘Giorno del ricordo delle foibe’: potrebbe essere una mostra da far girare in Abruzzo; o la previsione di un viaggio per alcuni studenti alla foiba di Basavizza; oppure un incontro con famiglie di abruzzesi discendenti da esuli istriani. Lavoreremo insieme per la migliore proposta. Nel procedere a un minuto di raccoglimento, che l’occasione richiede, vorrei leggere – come simbolo di speranza sopra ogni violenza che si consuma nella storia di ieri e di oggi – il biglietto ritrovato nel lager di Ravensbruck, accanto al cadavere di un bambino. E’ una preghiera che esorta a ricordare e pertanto non sfigura in questo luogo istituzionale: ‘Signore, ricordati non solo degli uomini di buona volonta’, ma anche di quelli di cattiva volonta’. Non ricordarti di tutte le sofferenze che ci hanno inflitto. Ricordati, invece, dei frutti che noi abbiamo portato grazie al nostro soffrire: la nostra fraternita’, la lealta’, l’umilta’, il coraggio, la generosita’, la grandezza di cuore che sono fioriti da tutto cio’ che abbiamo patito’”.


10 Febbraio 2015

Categoria : Cronaca
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