La frana a Villa Celiera – L’acqua “sotto” e il dramma delle famiglie rimaste senza casa
Villa Celiera – (di G.Col.) – Siamo, in questo Abruzzo dolente e sconvolto, un’altra volta alle prese con il dramma infinito di gente che ha perso la casa e non la riavrà, o almeno non in tempi calcolabili. Senza parlare del problema di dove ricostruire – ma è per ora una parola grossa – le abitazioni, in un’area franosa. Che è come, se non peggio, un’area a rischio sismico costante.
Le famiglie senza più niente (le case frantumate dalla frana sono pericolanti, non si può neppure andare a recuperare qualcosa) sono ormai tante. E forse saranno di più, perché la frana non si ferma. Anzi, pare estendersi. Spacca tutto e produce fango, frantumi, crepe impressionanti. Spinge a valle strade, case e ponti, fa cadere persino gli alberi, li inclina verso valle in assurde prospettive innaturali.
Cosa può fare un malcapitato sindaco in queste situazioni? Prima di tutto, deve alloggiare la gente, in sistemazioni improvvisate, e pregando i compaesani di ospitare, se possono, qualcuno. Gli altri vip, per ora, compiono sopralluoghi, verificano, esaminano, guardano dall’elicottero, dicono la loro, forniscono assicurazioni e giurano impegni. Ma la gente non ha casa adesso, ora, e na ha bisogno adesso, ora. Gente disperata, che piange, che vede scendere sulla propria vita un sipario nero e severo. Da un’ora all’altra e senza scappatoia. O speranza che domani sia tutto finito. Caso mai, domani cominciano altri guai.
Il dissesto idrogeologico, pur tanto esteso e vistoso in tutto l’Abruzzo, è un problema enorme in teoria, che diventa macigno in pratica, quando arrivano le frane. Il terreno ti si muove sotto i piedi, lentamente, non come nel terremoto violentemente e brutalmente. Tutto scende, scivola. Si spacca. Si aprono crepe minacciose, larghe come lame di pala, profonde. E dentro ci va l’acqua della pioggia, l’acqua della neve che si scioglie, peggiorando la precarietà. Se nel sottosuolo c’erano equilibri incerti, l’acqua li peggiora.
Villa Celiera “sta sopra all’acqua” dicono alcuni. Lassù al Voltigno, una delle zone più belle di questa parte del Gran Sasso, versante pescarese, le acque delle piogge e delle nevi si raccolgono e formano laghi stagionali. Uno si chiama Lago Sfondo e dicono che sia – appunto – sfondato, un imbuto profondo serpeggiante nel sottosuolo che arriverebbe fino al mare. Dicerie, probabilmente, ma il nome tradizionale è significativo.
Sicuramente, sotto terra l’acqua è tanta e rende il suolo instabile, poco compatto. Franoso. Oggi e domani, ecco perché la tragedia della gente che ha perso la casa è straziante. Sanno che, burocrazia e Stato a parte, non potranno riaverla dov’era e com’era.
Ci mancava la frana a spopolare un paesino di 700 abitanti, che trent’anni fa ne aveva 1700. Povera terra d’Abruzzo dilaniata da terremoti, disastri, smottamenti, frane, dissesti. E abitata da politici che non sanno più dove mettere le mani.
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