Quei vecchi racconti sull’acqua calda prima del grande terremoto del 1915
L’Aquila – UNO DEGLI ARGOMENTI CHE NON PIACCIONO ALLA SCIENZA – (di G.Col.) – (Foto: la piana del Fucino, e luoghi di acque calde in varie parti del mondo) – Una cosa è sicura: il caldo della Terra ce lo abbiamo sotto i piedi, più vicino quando la crosta terrestre è più sottile, deformata, fratturata, o tormentata da fortissime pressioni nelle faglie sismiche profonde. Nuove oppure vecchie chi sa quanto tempo. Nelle miniere più profonde, i lavoratori che raggiungevano o superavano i 1.000 metri ne sapevano qualcosa: la temperatura nei cunicoli saliva, più si scendeva e più saliva.
Le commemorazioni dei 100 anni del terremoto marso, sviluppatosi grosso modo in corrispondenza di una lunga faglia che va da Gioia dei Marsi fino a Celano e Magliano, ci hanno spinti a leggere o rileggere vecchie storie sull’acqua calda che emergeva dal sottosuolo, nelle campagne, fino a pochi giorni prima del 13 gennaio 1915.
Acqua molto calda, i canali e i corsi d’acqua ribollivano, e i contadini lessavano le patate.
Da fenditure nei campi usciva anche “aria” maleodorante, che si incendiava. Gas metano? C’è chi arricchisce il racconto, parlando di cupi brontolii sotterranei, sollevamento di acqua nei pozzi profondi venti o trenta metri. Di vulcanelli di fanghiglia grigia. Di odori nauseanti. Tipo uova marce.
La scienza ufficiale, come sempre quando non le conviene, non conferma, cerca pretesti, lascia cadere l’argomento. Studi e ricerche serie ve ne sono, ad opera di scienziati che hanno agito privatamente. Il più delle volte l’argomento acqua calda è stato lasciato cadere. Vai a capire perché.
Al cronista curioso non resta che raccogliere quel che si legge e si sa. I vulcanelli? Ma sì. Ve ne furono allora, ve ne furono nell’Aquilano nel 2009. Da sempre, ce ne sono parecchi nel Teramano, ma nessuno ha mai approfondito l’argomento. I fanghi che sputano sono spesso caldi.
Pozzi di acqua prima fredda, poi calda? Quanti ne volete: anche di recente nella Marsica, poi non se n’è voluto più parlare. Ce ne furono in Emilia Romagna nel 2012, insieme con emersioni di acque calde, scure, solforose, che acceleravano la crescita delle piante e poi ne causavano la morte improvvisa. E poi, in Toscana, moltissime zone con acque calde (ma perenni), geyser, terme. A questo punto l’argomento, però, diventa un altro e tutto è chiaro.
In un libro sul terremoto aquilano del 1703, si descrivono esalazioni di aria mefitica, gas infiammabili, spaccature del suolo che si colmavano di acqua: calda ovviamente. Anche fino a 35-40 gradi.
La spiegazione geologica è inutibile: le forti pressioni delle zolle in movimento sotto terra, che spingono in contrasto e deformano le rocce, caricando energia anche per secoli, causano accelerandosi in un certo momento aperture di varchi dai quali sgorgano acque profonde, dunque calde, e anche gas infiammabili. Meno spiegabile è che uno o due pozzi siano caldi, e altri vicini no. Ma potrebbe anche trattarsi di racconti diciamo fantasiosi o anche falsi.
Da tutto questo si può tentare di capire qualcosa sulla possibilità di prevedere i sismi, sia pure con pochissimo anticipo? C’è chi studia le variazioni di livello del gas radon, per trarne vantaggi scientifici. Se l’apparato scientifico fosse meno misterioso e più comunicativo, forse, capiremmo di più e i punti di domanda sarebbero meno numerosi. Insieme con credulonerie e false notizie. Chi ha detto che la scienza non è più una torre d’avorio? Che è democratica e pagata con i soldi dei cittadini? Quando non ci capisce molto, sceglie di aggirare i temi e gli argomenti, per poter continuare ad affermare apoditticamente certe “sicurezze”. Nel frattempo, si alimenta e sopravvive reclamando risorse per affermare verità: domani, naturalmente. A carriere fatte e stipendi d’oro intascati…
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