Cento anni, non sia solo becera retorica
(ore 7 e 52 di un secolo dopo) – Non fu il terremoto della Marsica, ma del Centro Italia intero: ore 7 e 52 del 13 gennaio 1915. Rimbalzò per centinaia di chilometri, fino a Roma, Napoli, Perugia, la Puglia. In un baleno più di 30.000 scomparvero, e vi furono vittime, non ricordate, anche in altre parti d’Abruzzo. La scienza sapeva poco di terremoti, l’Italia sapeva molto (nel 1908, sette anni prima, era stata azzerata Messina) ma come sempre, faceva poco e avrebbe fatto poco nei successivi 100 anni, fino ad oggi. Tant’è vero che nelle zone a rischio si continuò a costruire follemente, spesso lungo le faglie note (come a Pettino-Arischia-Pizzoli presso L’Aquila), spesso male, spesso – e fino agli anni Sessanta-Settanta – sconciamente. Lo dicono i processi oggi in corso per morti e crolli aquilani. Lo dicono le decine di edifici e strutture “moderni” e in cemento armato, colpiti più duramente di antiche case rimaste in piedi. Compresa la facoltà di ingegneria!
Oggi, cent’anni da quel disastro, di terremoti si sa poco di più, si farfuglia, si pasticcia, si pontifica, il più delle volte ci si affida alla buona sorte e si accende un cero a S.Emidio. Si spera che non capiti ancora, che non ci tocchi o non tocchi ad altri vicino a noi. La natura conserva i suoi minacciosi leviatani, che la dissennatezza umana rende tragici. Chi ha coscienza continua a dire: non gingilliamoci con previsioni impossibili, statistiche fumose, ciclicità ipotizzate, periodicità e “ritorni” ogni due, tre secoli o chi sa quando. Costruiamo bene, evitiamo i luoghi chiaramente più pericolosi, preveniamo, organizziamoci, fabbrichiamo una cultura sismica. Esercitiamoci, teniamoci sempre preparati non a strapparci i capelli, ma a salvarci.
Se un anniversario – come quello dei 100 anni del sisma marso – può servire, ben venga. Se deve essere solo una parata di retorica e di banalità , lasciamo perdere. Chiediamoci quanto ne sappiamo di questo fenomeno e cosa possiamo fare per attenuarne i soprassalti feroci e imprevedibili. Fino al 2009 a L’Aquila nessuno sapeva nulla o quasi del terremoto, solo che Carnevale arriva in ritardo per un “voto” fatto tanto tempo fa. Poi tutti hanno imparato tutto, con l’affanno, il dolore, la disastrosa perdita di identità e di equilibrio. La perdita di una città in cui, dopo sei anni, migliaia di bambini e ragazzini vanno a scuola ancora nei MUSP. E si aspetta una legge, si tende la mano, si sogna e si ricorda il passato divenuto irrevocabile. Sbiadito, livido ogni giorno di più.
Del resto, le baracche del 1915 nella Marsica sono davvero tutte sparite?
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