Mega, quella parola arrogante
Tutto per essere fonte di stupore, di attonita (e spesso demenziale) ammirazione, deve essere “mega”. Oppure super, o anche iper. Radici di antica origine greca, ma forse è meglio lasciar perdere simili riferimenti linguistici in un mondo giovanile e consumistico che stenta a parlare persino l’italiano… Quel centro commerciale ai piedi del mitico colle di Chieti, dei luoghi che parlano di omeriche leggende e di Enea, si chiama Megalò esagerando, perchè ormai neppure mega è più sufficiente. Serve di più, serve raddoppiare e triplicare. Uno tsunami cieco e distruttivo di regole ed equilibri commerciali, di storiche tranquille convivenze sociali ed economiche con i piccoli negozi.
Che spariscono: nella sola Pescara ne sono morti oltre 500 in un anno, a Chieti si cercano con il lumicino, a L’Aquila ne sono svaniti tra le macerie centinaia (ma lì è tutto diverso, straziato dal terremoto), a Teramo ne muoiono ogni mattina. Più saracinesche abbassate che alzate, di sicuro.
Non basta. Ora si scopre il peggio del peggio, affiorano rifiuti e marciumi maleodoranti. Sotto quei Megalò prossimi venturi non si sa bene cosa bisognava nascondere, magari all’insaputa di tutti, dello stesso Megalò. A sapere dovevano essere pochi intimi, i compagnucci spartipalazzo.
Che brutto l’Abruzzo di questi anni Duemila. Non ci aspettavamo molto, ma neppure tante cose brutte. Mega è una parolaccia arrogante, un’escrescenza maligna e famelica. E adesso comincia persino a far paura.
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