Quando si portava il regalino a “ju viggile”


L’Aquila – (di G.Col.) – Anni Cinquanta, Quattro Cantoni, il cuore – oggi distrutto ma in riedificazione – della città-salotto di una volta. Sembra incredibile che sia esistita, pensandola come appare in questi anni del ventunesimo secolo… Supporre che il futuro avrebbe portato, fra le altre cose, anche le tremende new towns, sarebbe stato fuori della logica. Eravamo bambini o poco più, chi pensava a queste cose? Eppure…
In quegli anni, il 6 gennaio si portava il regalino “aju viggile”, cioè al pizzardone che ai Quattro Cantoni regolamentava il modestissimo traffico dell’epoca.
Ju viggile per l’occasione saliva sul suo piedistallo (che veniva montato per l’occasione e poi rimosso a sera) e da ogni auto che passava una mano apriva lo sportello e depositava il dono: un panettone, un paio di bottiglie di spumante (imbevibile…), qualche torrone Nurzia, qualche sacchetto di caramelle o cioccolatini (i vigili avevano famiglia, diamine), i più facoltosi qualche salamino infiocchettato o lo zampone con le lenticchie di Santo Stefano. Si formava un bel monticello di regali, certo sufficienti per la smunta decina di vigli urbani allora in servizio. Era la simpatia degli automobilisti per non aver avuto la multa durante l’anno precedente, o per tentare di non averne nell’anno appena cominciato. Tutto molto deamicisiano e all’acqua di rose.
La befana aju viggile continuò anche dopo l’installazione ai Quattro Cantoni di uno sgangherato semaforo appeso ad un filo metallico trasversale. Dondolava al vento, si spegneva ad ogni nevicata o temporale. Il vigile non stava più al centro dell’incrocio (che, peraltro, era sghembo e storto a causa delle diverse larghezze delle strade al quadrivio), ma si teneva di lato e ogni tanto fischiava. La sera alle 19 la folla dello struscio si accalcava nel corso “largo” e il semaforo diventava solo una luce sulle teste. Le poche auto in giro procedevano a lumaca nella folla. Guidatori con il gomito fuori dal finestrino per farsi riconoscere dalla bella presa di mira. Il più delle volte con esito positivo: l’auto era un’ accogliente alcova, l’amore si andava rimediando di solito nel freddo del parco o appoggiati al tronco di un pino resinoso.
Scene di una tranquilla vita cittadina con i suoi riti.
Alle venti tutti a casa, a vedere il tg, perché la movida proprio non esisteva.
Alle 22, quel paio di centinaia di nottambuli irriducibili sempre esistiti a L’Aquila occupava i tavoli dei bar sotto i portici fino alle ore piccole.
D’inverno, la “biferina” a 5 gradi sotto zero portava ghiaccio e freddo fin sotto le arcate (oggi pericolanti e inguainate in dolorose impalcature), ma il bar Scataglini era comunque aperto tutta la notte. Pensate… E mai vuoto. Come, del resto, il “Sette nani” in corso Umberto.
La befana aju viggile ricorda tutto questo, nell’immagine sfumata e delicata tra grigi e ombre di una foto d’epoca. Chi sa chi la scattò. Ci piace mostrarvela, ringraziando l’autore, chiunque sia stato. Nessuno di coloro che popolano quel momento sepolto nel tempo, probabilmente, è ancora in vita. Compresa l’auto che si intravede. I ricordi aleggiano, sono i veri fantasmi. Le ombre sembrano inghiottire anche le prospettive dei palazzi, gli stessi che il terremoto ha colpito squassandoli nel profondo.
Negli anni Cinquanta un terremoto c’era stato (molto forte, nel settembre 1950), con danni e lesioni, ma pochi crolli. Un altro arrivò nel 1958, anch’esso forte, dicono i dati storici. 51 anni dopo, il 6 aprile 2009. Oggi, una toccante foto ricordo per la befana del vigile.


06 Gennaio 2015

Categoria : Storia & Cultura
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