Maldicenza contro invidia e altri drammi
L’Aquila – (Di Carlo Di Stanislao) –
(Foto: un labaro, sotto un priore entrante e un priore uscente) – Pochi giorni fa, Cosimo Pacciani, ha acutamente ricordato a noi tutti che l’Italia è un Paese diviso, in cui ogni famiglia è una Repubblica, con una sua legislatura e dei suoi partiti, con crisi di governo e continue discussioni su ogni singola scelta; spiegando così come mai da noi non esistono rivolte ma mugugni e resti netta, dopo un secolo e mezzo di storia comune, la divisione fra vita pubblica e privata e ancora perché la maldicenza ed il chiacchiericcio siano i meccanismi di trasmissione di informazioni, ovviamente in una distorsione che stordisce al punto di non saper piu’ cosa sia vero o cosa sia sentito dire.
Questi gli aspetti sociali e storici negativi sulla maldicenza, anche sea evidente che ne debbono esistere anche aspetti “positivi” se essa, nella mia città, è onorata da sempre e da dieci anni il “Pianeta della madicenza” si giova del supporto del Comune e di importanti istituzioni (La Società Dante Alighieri, l’Accademia della Cucina e l’Istituto Alberghiero), che insieme alle “storiche” Confraternite e Congreghe agnesine , danno vita ad una kermesse che dura ben 5 giorni (quest’anno dal 14 al 18 gennaio), dedicati in vatrie forme all’arte di “dire il male”, con, quest’anno, un maggior coinvolgimento dei giovani e un premio, appunto per i giovani, dedicato all’indimenticata “Badessa” Luciana Cucchiella, con in più una conferenza-concerto sul tema della “maldicenza nella musica”.
E’ evidente che quella che si festeggia a L’Aquila è qualcosa di diverso da quel peccato che può uccidere, di cui ha parlato con toni molto negativi Papa Francesco e il celebre moralista Hering chiamava “clericas invidia”.
Ma se Cesare Cantù, a fine ottocento, poteva scrivere: “La maldicenza rende peggiore chi la usa, chi la ascolta, e talora anche chi n’è l’oggetto”; a L’Aquila accade che essa, usata non per fustigare un singolo ma un fatto o un atteggiamento, possa assumere un valore per così’ dire “educativo”.
E pertanto, le “giornate aquilane sulla maldicenza” organizzate dalla associazione culturale “Confraternita aquilana dei ‘devoti’ di Sant’Agnese”, nel cui statuto, all’articolo 1, si legge che tutta l’attività è rivolta a promuovere “la maldicenza intesa non come pettegolezzo né come insulto, bensì come strumento di valenza sociale, critica costruttiva e leale antagonismo”; sono qualcosa di cui andare fieri.
E’ questo che mi ha appassionato nelle ultime edizioni, a cui ho partecipato volentieri, con Mercedes Calvisi, in rappresentanza dell’Istituto Cinematografico Lanterna Magica, meravigliandomi ogni volta per la capacità di usare l’intelligenza propria e diretta di una terra ancora in grado di conservare valori, per esprimere allusivamente e attraverso la “maldicenza”, come strumento di critica sociale ee con intenti decisamente costruttivi.
Per riprendere e rovesciare l’idea di Hering, durante la manifestazione è evidente che tutto ciò che viene detto e rappresentato è privo di invidia, di collera di animosità, senza gelosia o frustrazione, usata per dar voce alla nostra capacità i scandalizzarci di fronte a certi fatti e non ricorrere ad una piatta e vuota e anodina “imperturbabilità” che molto spesso esprime una esiziale e totale sconfitta sotto il profilo umano e sociale.
Pettegolezzi, malignita’, maldicenze sono le forme di aggressivita’ verbale e distruttiva, ma la “Confraternita aquilana dei ‘devoti’ di Sant’Agnese”, ne hanno fatto qualcosa di diverso, capace di denunciare vizi e piaghe, affinché non diventino silenziosi testimoni distruttivi del tessuto sociale e dei rapporti interni ad una comunità.
Grazie alla kermesse, si tiene lontano l’invidia, sentimento arcaico e pericoloso, e che è foriero di altre
distruttive nefandezze: senso di inferiorità, inadeguatezza frustrazione, impotenza, odio e rabbia.
“L’invidia è la ladra della gioia” diceva Theodore Roosevelt e le cinque giornate aquilane servono per esorcizzare questo saggio aforisma, ricordandoci, in vario modo (teatrale, musicale, ecc.) che è l’invidioso la vera vittima di sé stesso e come ci ricorda Giacomo De Benedetti con il suo teatro, la rappresentazione di essa ce ne tiene debitamente lontani.
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