Map, ultimi barlumi di civiltà contadina


Paganica – Scrive Raffaele Alloggia: “Quella che è stata per millenni la più comune forma di vita degli uomini, la cosiddetta “civiltà contadina”, nel giro di pochi anni, per chi ha la mia età, l’ha vista scomparire sotto i propri occhi, così, sono ormai numerosi i musei che espongono vecchi attrezzi da lavoro e oggetti dell’arredamento delle nostre vecchie abitazioni, mentre antiche e sbiadite fotografie documentano le fatiche nei campi e le abitudini domestiche. Ho sempre pensato che la mia generazione è da ritenersi fortunata poiché ha avuto l’opportunità di vivere dentro quella “civiltà contadina”, che è stata poi protagonista del boom economico ed industriale degli anni 60 del secolo scorso.
Ancora oggi nonostante la grave crisi economica, quella stessa generazione, si trova a vivere nel pieno dello sviluppo scientifico e tecnologico, che in pochi anni ha completamente cambiato, in questa parte del mondo, il modo di vivere ovunque l’uomo risieda. Il terremoto del 6 aprile 2009, ha costretto le persone anziane che abitavano nel centro storico di Paganica, ad abbandonare le proprie case! Un vero dramma per tutti, ma in modo particolare per loro, poiché in qualche modo certi comportamenti di quel tipo di comunità resistevano, consuetudini e usanze difficili da morire nei paesi! Nel dopo sisma, proprio quelle persone, molte di loro vedove rimasero senza un’abitazione e dopo lunghe lotte riuscirono ad ottenere nelle vicinanze del piano Case, dei Map (modulo abitativo provvisorio).
Questi anziani non riuscivano a vivere in solitudine dentro la propria casa, così non gli fu difficile, sin dall’inizio, riunirsi nelle case, di volta in volta di ognuno di loro, magari a prendersi un caffè, o a fare l’uncinetto, a rammentare. Loreta dice che la solitudine è brutta, qualcuna di loro è stata ferita in modo grave dal terremoto e quando ti ritrovi sola, il cervello gira e i brutti ricordi sono i primi a riemergere con tutto il proprio carico di dolore! Lei, vedova da anni, nonostante la sua età è molto dinamica, instancabile, uno dei suoi nipoti Matteo, disorientato a causa della situazione venutasi a creare dopo il terremoto, abbandona gli studi all’università e nello stesso anno partendo da un vecchio casale di suo nonno, da luogo con suo fratello Michele ad un’azienda agricola, in località La Perola nella piana di Paganica, dove si era rifugiato con tutta la famiglia.
Inizia con un po’ di animali, qualche mucca, delle pecore e sulla scia della più nota, “adotta una pecora”, si inventa “adotta una gallina”, si proprio così, lo scopo è quello di garantire agli associati un certo numero di uova fresche settimanali, alimentando le galline soltanto con prodotti provenienti dalla coltivazione di ettari di terreni dalla stessa azienda e lasciandole“ruspare”nel prato. Il territorio dove opera, grazie alle acque delle vicine sorgenti del fiume Vera, tra le tante colture consente di coltivare i famosi fagioli di Paganica, un prodotto assolutamente di nicchia, dove quasi tutte le fasi di lavorazione sono rimaste da sempre le stesse. E’ proprio in alcune di queste fasi che si ripropone quella tradizione tipica della “Civiltà Contadina” dove tutta la famiglia di Matteo e le vicine di casa di nonna Loreta, danno un contributo concreto e importante, sia nella “battitura” che nella “capatura”, dei fagioli bianchi, detti “a pane” e quelli a “olio”, questi due tipi di legumi, per le loro caratteristiche organolettiche, fanno parte dell’Atlante dei Prodotti Tradizionali d’Abruzzo con il D.L. 173/98 e D.M. 350/99 . Dopo la “battitura”, racconta Loreta, per giorni e giorni la sera dopo cena, ci siamo ritrovati qui a casa nei Map, con Valestina, Bruna, Letizia, Rosetta ecc. (anche i nomi sono di altri tempi) a “capare” (selezionare) i fagioli, questo ci ha dato l’opportunità di ricordare quando queste stesse cose si facevano alle aie e alle nostre case, ci manca il profumo della cantina dove questi prodotti venivano riposti e quello del mosto di questi giorni, ci manca il vicinato, anche se alcune di noi abitavamo alla Via di Sotto (Corso Duca degli Abruzzi) e ci conoscevamo, Valestina aveva un forno pubblico che la sua famiglia gestiva da generazioni, per cui era sempre in contatto con tanta gente, rimasta poi ferita gravemente tra le macere della sua casa in quella notte del 6 aprile.
Al mattino, quando a una certa ora non vediamo aperti i portelloni delle finestre di qualcuna di noi, non esitiamo ad andare a suonare il campanello, non si sa mai dice Loreta, vecchi siamo e chi ti dice che una si possa sentire male! Quasi contemporaneamente ai fagioli, si raccoglie lo zafferano, di buonora Matteo con la famiglia e l’aiuto di qualche extracomunitario si recano a prendere i fiori dei bulbi, i quali subito dopo vengono riportati alla casa di nonna Loreta che allerta subito i vicini di casa, non si può aspettare la sera! Di nuovo tutti intorno al tavolo, con delicatezza separano i preziosi pistilli dal resto del fiore.
Anche questa dell’oro rosso, un’antichissima tradizione paganichese, come si evince da un lavoro certosino fatto dal dott. Piccioli Giuseppe di Navelli, nel suo libro “La Coltura dello Zafferano nell’Aquila degli Abruzzi” edito da Francesco Cellamare, che compara le produzioni di zafferano tra il 1880 e il 1930, anno in cui è stato pubblicato il libro, in tutti i comuni dell’Aquila dove veniva coltivato. E’incredibile immaginare oggi quelle produzioni, nel 1880 la produzione dello zafferano del comune di Navelli era di 478 Kg su una superficie media di 62 Ha, in quello di Prata D’Ansidonia Kg 320 su 31 Ha, a San Demetrio Kg 80 su 9 Ha, nel comune di Paganica Kg 777 su 63 Ha, incredibile! Nella tabella sono riportati anche tanti altri dati molto interessanti. L’azienda agricola di Matteo, sta lavorando insieme ad altri giovani imprenditori del settore, affinchè nel territorio possa esserci un presidio Slow Food per i fagioli di Paganica.


11 Dicembre 2014

Categoria : Storia & Cultura
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