Il racconto – Ugo Centi, quando il viaggio per arrivare a Roma era un’avventura…
L’Aquila – (Foto: corso Vittorio Emanuele ai tempi del Bar Scataglini) – Ugo Centi ha scritto questo breve racconto: “La corriera Vasto-Roma passava sotto il suo paesello all’una di notte. Anche con la neve. Ci potevi rimettere l’orologio. Però non fermava all’ombra del lampione a forma di padella rivoltata, dalla fioca luce giallognola, al bivio con la Statale. No, il bus con meccanica del camion 34 della Fiat, quasi un autocarro con i sedili, faceva sosta tre chilometri più avanti, davanti al bar Scataglini sotto i portici, che restava aperto tutta la notte.
Lui aveva intorno ai vent’anni. E andava a Roma. A cercar lavoro, forse fortuna, magari avventura. Se ne partiva poco dopo la mezzanotte dal paesello. Tre chilometri a piedi in pieno buio. Poi, un pò prima del curvone di Porta Napoli, tagliava tra le piante, per una accorciatoia. Sbucava prima della Porta, dove cominciavano le luci, con la caserma dei vigili del fuoco sulla sinistra a salire.
Tutti i bus facevano tappa da “Scataglini”. Per anni. Fino a che la motorizzazione di massa e l’autostrada cambiarono i capolinea. Fino ad allora, dal corso principale i bus svoltavano per la ripida e stretta discesa di via Roma. Sette ore di viaggio per coprire 140 chilometri. Con sette passaggi a livello. Il primo a Sassa, alla fine del celebre rettilineo. Il secondo a Sella di Corno, in piena montagna, qualche chilometro prima del tratto in cui la bufera ammucchiava tutta la neve sulla curva “della casetta”. Poi ben tre passaggi a livello ad Antrodoco, uno dietro l’altro. Uno ancora a Rieti e l’ultimo a Passo Corese, una trentina di chilometri da Roma.
Strada tutta curve e controcurve. Si saliva per Cittaducale, non c’era ancora la variante. A Rieti altra storica tappa in centro, sempre davanti un bar aperto la notte. Un caffè, un bisogno fisiologico e poi ecco la salita “Fiacchini” della Salaria, culminante in una curva a gomito ove la corriera “toccava sotto”, nel senso che era così irta che il tubo di scarico sfiorava l’asfalto.
Quindi, all’alba, la splendida Roma di allora. Quella del ponentino. Presa da nord, costeggiando Villa Ada, attraversando gli archi di Porta Pinciana, giù per via Veneto che nessuno del paesello, in quei pieni anni ’50, supponeva essere la via della “Dolce vita”. Si sapeva che ci bazzicavano le attrici e che c’era l’ambasciata americana. La guerra era appena finita, infatti, e gli americani evocavano la “ricchezza”. Di lì, in pratica, si era a “Piazza Esedra”, da dove parte via Nazionale, capolinea di ogni corsa dall’Abruzzo. Altro bar storico: il “Caffè Piccarozzi”: per la colazione delle otto. Sotto la piazza, i bagni pubblici, dove qualcuno faceva anche la doccia. Sugli scalini della piazza gli operai abruzzesi, in attesa dei “caporali” di allora, per andare a giornata nell’edilizia.
“Sò arrivati i palombacci”, chiamavano i romani quegli abruzzesi. Poi Roma cambiò. Il Paese divenne altro. Con le “Giulia 1600” Alfa Romeo alla fine degli anni ’60, L’Aquila-Roma si faceva in due ore e un quarto, le curve prese a 120 all’ora facendo “fischiare” le gomme sulla strada e collezionando multe da 3 mila lire conciliate a volo tra Antrodoco e Rieti. Ma quella era già l’Italia del boom. Un’Italia da sogno.
Qualche sera, passeggiando sul lungomare di Roseto, fa ho incontrato un vecchio autista di bus. Faceva “la linea” Giulianova – Pescara – L’Aquila – Roma. “Quante volte ci fermavano – mi ha detto – a mettere le catene sotto quella Porta (Napoli). Andavamo sempre con due autisti, ci davamo il cambio al volante. Quando nevicava guidavo io, che venivo dalla marina, motorista sulle navi. Ero bravo a “sentire” il motore: lo tenevo al minimo, con un filo di gas, senza mai frenare o accelerare. Provavamo a salire senza catene, Ma dopo il curvone di Porta Napoli la corriera cominciava a mettersi di traverso. Non c’era verso! Ti dovevi fermare e mettere le catene. Che freddo! Il ghiaccio tra le dita! Era una odissea! Però arrivavamo sempre. Non ci arrestavamo mai. Non era come oggi, che chiudono le strade con due fiocchi!”.
L’ho ascoltato. Quegli autisti erano degli “artisti” del volante! E mi ha fatto tornare in mente questa storiella che mi raccontava mio padre. Era lui, il ventenne che andava a Roma la notte.
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