2° guerra mondiale: il bombardamento della “Zecca”. Esposito ricorda gli eventi
L’Aquila – (F.C.). Distruggete all’Aquila le officine carte e valori della Banca d’Italia (la “Zecca” per gli aquilani): sono il “forziere” delle armate tedesche in Italia. Questo l’ordine dato l’8 dicembre del 1943, festa della Concezione, dal comando generale angloamericano alle formazioni aeronautiche di stanza a Foggia. A ricordare quell’evento drammatico e luttuoso – i morti furono circa 294 ma una stima reale non e’ mai stato possibile farla – e’ lo storico e giornalista Amedeo Esposito. Sfogliando il libro sulle Officine della Banca d’Italia di prossima pubblicazione, l’autore osserva come si sia trattato di un “ordine” che mai e’ entrato, quale strategia militare, nella storia della seconda guerra mondiale, per le deviazioni politico-ideologiche che si sono addensate negli ultimi 70 anni intorno al luttuoso evento che sconvolse L’Aquila per la distruzione delle Officine carte e valori e dello scalo ferroviario, e per la morte di tedeschi, inglesi, italiani e 15 dipendenti e quattro operai della Banca d’Italia. Mussolini, dopo il “rapimento” da Campo Imperatore ad opera dei paracadutisti della Wehrmaht, fu costretto da Hitler – altro che amico, com’e’ nella storia, rileva Esposito – a costituire la repubblica sociale italiana (conclusasi tragicamente a piazzale Loreto a Milano), ch’ebbe il conosciuto elevatissimo spargimento di sangue degli italiani, ma anche un notevole costo economico e finanziario. Il dittatore tedesco – si legge nel libro – pretese elevati contributi per le spese generali del Terzo Reich (nel solo primo anno 189 miliardi di lire, ad oggi 9.099 miliardi di lire pari a 4.700 milioni di euro), nonche’ la consegna sistematica gratuita dell’intera produzione bellica dell’Italia settentrionale. Inoltre impose – come scrive in una nota, del 29 settembre 1943, il governatore Vincenzo Azzolini – il trasferimento dell’ingente tesoro della Banca d’Italia in Germania e lo spostamento della Officine carte e valori dall’Aquila a Verona. Quest’ultima clausola, pero’, venne sospesa lo stesso giorno in cui il ministro tedesco della propaganda Joseph Goebbels, dinanzi ai cancelli della residente del Fuhrer, insceno’ la farsa del “dono” di 13 miliardi di lire (sei milioni di euro, 11.750 miliardi delle vecchie lire) da parte della citta’ dell’Aquila. I tedeschi, dieci giorno dopo l’occupazione della citta’, trovarono l’ingente somma custodita nelle vastissime sacrestie della filiale della Banca d’Italia, di corso Federico II, trasferendola direttamente in Germania. Altro che “dono”. Per l’autore del libro fu vera e propria rapina di cui gli aquilani e l’Italia intera vennero a conoscenza solo sessant’anni dopo (2003), in seguito alle ricerche fatte dallo stesso Amedeo Esposito negli archivi storici della Banca d’Italia. Di conseguenza le officine carte e valori rimasero attive all’Aquila, dove Hitler istitui’ la sua “banca” per la guerra in Italia . Il primo novembre del 1943, dopo gli accordi ripassati tra i plenipotenziari dei tedeschi ed il direttore delle officine, l’ing. Del Guercio, con il maggior sfruttamento dei macchinari e turni lavorativi continuati 24 ore su 24 (svolti da circa 700 donne aquilane), la produzione dei biglietti di banca da 600.000 pezzi fu portata a 900.000 pezzi al giorno la cui distribuzione fu cosi’ imposta:…”la produzione di 4 giornate di ogni settimana verra’ avviata direttamente dall’Aquila alla sottosezione di Milano, salvo, in caso di necessita’ a lasciarne un certo quantitativo alla sede di Firenze, specialmente per le esigenze delle forze armate germaniche. I biglietti prodotti nelle altre tre giornate verranno spediti alla sottosezione della cassa speciale a Roma e saranno utilizzati per le necessita’ delle forze germaniche del Sud…”. Non vi e’ dubbio che la distruzione delle officine, come avvenne nella luminosa mattina della Concezione di 71 anni fa, che tolse uno degli elementi piu’ significati per la sopravvivenza delle truppe tedesche, dovesse rientrare tra gli obiettivi militari piu’ importanti del conflitto. L’Aquila, pero’ – osserva lo storico – ancora piange i suoi morti: le 15 operaie e 4 operai del “reparto verifica” (il controllo dei biglietti gia’ stampati) delle stesse officine, i 25 cittadini del quartiere Rivera (di due di essi non furono mai trovati i corpi), i circa 200 prigionieri inglesi piombati nei vagoni dello scalo ferroviario e, secondo un rapporto non ufficiale, gli oltre 50 soldati tedeschi, colpiti dalle bombe delle fortezze volanti angloamericane.
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