Se non mi pagate mi uccido…
Non è accettabile che un imprenditore creditore nei confronti della pubblica amministrazione debba minacciare – e non solo una volta – il suicidio per farsi pagare. La vicenda dell’impresario vastese che oggi ha dovuto barricarsi in Provincia a L’Aquila per ottenere non quanto gli spetta, ma un impegno formale, è semplicemente vergognosa. O mostruosa se volete.
L’uomo avanza o non avanza dei soldi? Per tre anni lo portano in giro, con pretesti, ritardi, rinvii, motivazioni più o meno complicate. La logica elementare dice: o quest’uomo ha diritto di essere pagato, oppure no. Una semplicità aristotelica per cui le cose o sono o non sono. Tertium non datur, se in Provincia qualcuno si dà la pena di capire. Poiché dopo tre anni e dopo clamorose proteste, all’imprenditore è stato promesso che sarà pagato entro 15 giorni, è chiaro che ha diritto di essere pagato. Questo diritto gli viene riconosciuto perché si è barricato in un bagno, minacciando si uccidersi? Qui sta l’indegnità di questa vicenda. Un diritto viene riconosciuto a chi grida, sbraita, minaccia? O bisogna gridare, sbraitare, minacciare per essere presi in considerazione?
La Provincia chieda scusa umilmente sia al suo creditore, sia agli altri cittadini. E qualcuno, che sia a L’Aquila, a Roma o al settimo cielo, garantisca che cose del genere non accadranno mai più. Se poi tre anni di attesa sono riferibili qualche burocrate caparbio o a qualche omissione degli uffici, siano chiamati a pagare i responsabili: una volta tanto. Utopia? Certo, ma lo diciamo lo stesso.
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