Le Province? Non sono mai morte, anzi…
L’Aquila – In Abruzzo, in teoria, dovrebbe esistere una sola provincia – quella dell’Aquila – esattamente come gli enti erano “prima”, sia pure ancora per poco, fino ad esaurimento. Nel capoluogo, infatti, non si votò nel 2009 ma l’anno dopo. Le altre tre province (Chieti, Pescara, Teramo) dovrebbero essere nuovo modello. Infatti, i consigli e i presidenti sono stati eletti di recente (ma pochi se ne sono accorti…) secondo i dettami della riforma. A votare sono stati i sindaci dei rispettivi territori, e presidenti sono stati eletti dei sindaci. Gli assessori non ci sono più, rottamati come figure istituzionali (e gestori del potere).
Bene, dicono i cittadini. E qual è l’affare per la gente?
Nessun affare, almeno che emerga volitivamente nel contesto sociale. La novità è che gli eletti non prendono lo stipendione che spettava ai presidente e agli assessori di prima. Anzi, non prendono proprio nulla. Almeno questo viene garantito. In termini di potere e di costruzione del potere futuro, soprattutto, il discorso non cambia rispetto al passato.
Prima di tutto, calcoliamo il risparmio reale. Secondo esperti, a livello nazionale, si risparmiamo circa 100 milioni di euro. Una somma enorme per ogni persona normale, modesta se raffrontata ai vortici di soldi che la politica costa ancora. Qualche altro risparmio dovrebbe derivare da minori spese e – se vogliamo dirla bene – sprechi.
Le province abruzzesi new style vogliono apparire attive e impegnate. Due di solo, Teramo e Pescara, dispongono persino di efficienti uffici stampa e si raccontano volentieri. A quanto pare, gestiscono ancora risorse rilevanti e ne chiedono. 3,2 milioni, ad esempio, saranno erogati dalla Regione per interventi sulla rete stradale di una sola di esse. Le competenze ufficiali sulle quali la provincia agisce sono edilizia scolastica, trasporto pubblico, strade. Ma di fatto le competenze sono molte altre: trasporto scolastico, persino turismo, cultura, assistenza sociale, centri per l’impiego (o quel che ne resta), agricoltura. Mediazione nelle vertenze di lavoro. Nel 2013 a livello nazionale sono stati usati oltre 10 miliardi, il 27% dei quali per il personale. Di fatto, a molti le province possono apparire oggi quello che erano ieri: enti che pagano dipendenti per quasi un terzo delle risorse.
Se si volesse sintetizzare la situazione, diremmo che dopo le elezioni di secondo livello (così si chiamano quelle recentemente avvenute) le province continuano ad esistere, consumano oltre 10 miliardi l’anno, e per di più, chiedono soldi dovendo svolgere dei compiti. In Abruzzo sussiste l’anomali della provincia dell’Aquila, che rimane quello che è sempre stata, in attesa di cambiamento nel 2015. E poi cosa dovrebbe avvenire? Che le province dovrebbero sparire, dovrebbero essere abolite. Tutti ricordano la famosa frase perentoria dell’ex premier Letta (forse l’unica che abbia pronunciato nella sua sostanziale mitezza gestionale) secondo il quale la parola “provincia” doveva sparire dalla Costituzione. Per ora, tutt’altro: enti che continuano ad esserci, a farsi sentire, a rappresentare la struttura dello Stato italiano sul territorio, in mano a sindaci anziché ad eletti dal popolo. In un paese in cui da tempo neppure il capo del governo è un eletto dal popolo, tutto ciò è significativo. E molto italiano.
Se vogliamo, nasce qualche problema in più, perché è comprensibile che le province, che scontano tagli economici comunque pesanti, non riescano a svolgere i loro compiti senza risorse. Nella furia febbrile di riformare, rinnovare, abolire, togliere di mezzo, ci siamo infilati in un tunnel per ora buio. Risultato? La province non riusciranno a erogare i servizi più basilari, tipo riscaldamento nelle scuole, o rattoppo delle strade, perché non avranno i soldi per farlo. Altro che riforme, rinnovo, Italia meno costosa e più efficiente. Più che abolizioni, si percepisce una moltiplicazione dei rovelli e dei problemi. Ma forse siamo, abituati ad un passato caotico, troppo timorosi del caos, che appare una triste costante italiana. E se ne uscirà . Quando e come, non lo potrebbe dire neppure la Sibilla Cumana.
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