E adesso, giustizia (se esiste) dalla Cassazione
L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – ANALOGIA CON IL PROCESSO DEL VAJONT – Esiste un comunicato della Protezione civile datato 1 aprile 2009, riesumato anche oggi da parecchi mass media che avrebbero dovuto sbatterlo in prima pagina prima del processo, nel quale si parla chiaramente di pericolosità della situazione nel territorio aquilano, e di sostiene l’assurda ipotesi dello scarico di energia. Scosse quasi benvenute, in quanto – secondo affermazioni quanto meno imprudenti ripetute poi più volte – il loro ripetersi avrebbe consentito una sorta di esaurimento dell’energia caricatasi tra le faglie che si spingevano.
In seguito, tale ipotesi è stata più e più volte smentita ed esclusa da autorevoli fonti scientifiche. Lo ha fatto anche l’INGV, l’Istituto di geofisica, in un recente articolo.
La Protezione civile era quindi consapevole della gravità della situazione in un territorio che unanimemente è riconosciuto tra i più sismogenetici dell’intero Appennino.
Non poteva non esserlo, del resto, visto che le prime scosse frequenti si susseguivano a L’Aquila e nel suo territorio fin dal dicembre 2008. Nei primi mesi del 2009 divennero sempre più forti e frequenti fino al culmine nel mese di marzo e al 6 aprile, ore 3 e 32, quando arrivò la scossa 5,8 ml-6,3 mw. Poco prima c’erano stati terremoti rilevanti, che avevano seminato ansia e paura.
Dov’era lo Stato che la corte d’appello ha dichiarato innocente? Se la stessa PC riteneva che esistesse pericolo – come scrive il 1 aprile – per quale inspiegabile motivo alla gente non fu spiegato chiaramente e coraggiosamente che esisteva un altissimo rischio sismico? Perchè non fu urlato a tutti che occorreva prepararsi alle peggiori eventualità , anche se restava ferma la certezza sulla imprevedibilità del terremoto e sulle sue manifestazioni?
Non potendosi dire nulla dei terremoti (imprevedibili), neppure si può escludere nulla. Tanto meno mettere in circolo sciocchezze sul possibile esaurimento dell’energia accumulatasi tra le faglie in movimento l’una rispetto all’altra: energia che viene “manifestata” con le scosse sismiche. Ma chi può dire quanta l’energia viene dissipata e quanta ce ne sia ancora, o se ne aggiunga ogni giorno, ogni ora, dopo ogni scossa? La gente va informata, tenuta al corrente, con calma e precisione. Uno Stato serio così si comporta. Lo Stato italiano sicuramente così non si è comportato.
Ferisce il buonsenso, per tralasciare emozioni, enfasi, rabbia, sdegno, sentire una sentenza in cui si dice che tutto ciò non sussiste. C’è chi neppure ha letto tutte la carte che doveva leggere per una minima documentazione?
Tutto questo, polemiche a parte, spenta la rabbia (il dolore no, quello non si spegnerà mai, con l’offesa alla città umiliata e derisa dallo Stato), sarà argomento da portare in Cassazione, dove occorrerà rimettere le cose a posto.
Nessuno vuole infierire sugli imputati, alcuni dei quali hanno dimostrato una dignità apprezzabile. Forse le colpe sono ben di là di loro, e il torbido tentativo di equivocare sul tema del “processo alla scienza” fa riflettere. Un rigurgito forzato di medio evo nel cuore del XXI secolo…
Lasciamo andare il giustizialismo, che non si addice ad una città nelle condizioni simili a quelle aquilane. Solo una giusta, equilibrata risposta è ciò che si desidera, per continuare a credere che l’Italia sia non uno Stato serio (per carità …), ma semplicemente uno Stato di diritto.
QUELLA SENTENZA DEL VAJONT… – La disperazione e la rabbia dei cittadini, ieri, alla lettura della sentenza-sorpresa, ricorda ciò che accadde nel processo per la catastrofe del Vajont, celebratosi a L’Aquila per legittima suspicione. Il disastro, sicuramente reso tragico da paurose omissioni e colpe umane, causò 3.000 morti. Il tribunale dell’Aquila emise una sentenza stranamente mite, con poche e risicate condanne, accolta da proteste, urla, intemperanze, sdegno da parte dei parenti delle vittime. Un clima analogo a quello avutosi ieri sera in corte d’appello. Quello del Vajont era tuttavia un primo grado: le cose cambiarono in appello e una giustizia tardiva ma accettabile fu imposta dalla corte aquilana.
Nel caso del terremoto, è il contrario: in primo grado una condanna (magari molto severa), in appello un ribaltone e una singola condanna, che fa pensare al dito puntato contro un capro espiatorio, come hanno notato in molti. Ultima speranza di ristabilire, agli occhi dei cittadini, una giustizia, è la Cassazione, alla quale spetta l’ultima parola e la possibilità di disporre un nuovo processo. In sospeso la posizione di Guido Bertolaso, per il quale il PG Como potrà chiedere l’archiviazione o il rinvio a giudizio. Se vi sarà un processo a Bertolaso, potrebbero emergere nuove verità e sprazzi di luce su una vicenda che potrebbe non vedere solo gli scienziati accusati, ora assolti, ma sempre sotto la spada di Damocle della Cassazione.
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