CdC, fusione solo procrastinata
Chieti – PER ORA UNIRSI A PESCARA RESTA UNA PROSPETTIVA INELUDIBILE, MA RIMANDATA – TANTI UFFICI E COMUNI DOVRANNO RASSEGNARSI ALLA FORBICE – La Camera di commercio resta dov’è, almeno per il momento, e tutti sanno quanto può durare una situazione provvisoria, specie quando dietro le quinte si muovono interessi forti e personaggi di peso. Nulla cambia mai , comunque non facilmente, dalle nostre parti.
Il consiglio camerale di Chieti ha detto no alla fusione (immediata) con la CdC di Pescara, rinviando tutto al 2015, primi mesi dell’anno. Paura di perdita di identità e terrorialità ? O di poltrone? No, se è vero che la nuova CdC adriatica unificata, un robusto “dominio” nel quale opereranno quasi 100.000 aziende registrate nei due territori, dovrebbe avere una sede a Madonna delle Piane, quindi tra le due città .
Una sola camera di commercio si può condividere, infatti, tra due realtà urbane che distano sempre meno, poco più di una quindicina di chilometri, ma di fatto sono una continuità fisica.
Ma è la politica, a quanto si intuisce, a non volere la fusione. C’è chi punta a dirigere un nuovo ente unificato, c’è chi da tempo manovra per una spartizione, per un compromesso che – come sempre – passa sulle teste dei cittadini e sul tessuto aziendale. Evidentemente, gli accordi non ci sono ancora, o se ci sono non soddisfano tutti, sono da modificare, temperare come un vecchio lapis a grafite.
Tutto, comunque, dovrà avvenire entro i primi mesi del 2015, a meno che il Governo non proroghi, ci ripensi, cambi le carte in tavola: finora si sa che le piccole camere di commercio dovranno sparire, e per esistere ancora dovranno fondersi. Pescara e Chieti rappresentano la realtà territoriale meno difficile in Abruzzo. Problemi nasceranno, anche se nessun politico ne parla nel timore di guastare mire e progetti sotterranei, per Teramo e L’Aquila. Fusione anche lì ? Davvero problematica.
Di fusioni dovremo tutti, per convinzione o per forza, prima o poi parlare: piccoli comuni, questure, prefetture, uffici provinciali di varia funzione, tante strutture dovranno rassegnarsi a sparire. Ha cominciato a dare l’esempio la Banca d’Italia, che ha segato rami e sbarrato sedi, cosa ormai già archiviata. Passi avanti fa il mondo sindacale.
Riottosi e abbarbicati, però, appaiono tanti piccoli potentati istituzionali dello Stato con i loro reucci sulle cime di torri quasi medievali, seduti con lo scettro a occhieggiare sui loro regni. Ben pasciuti e benm stipendiati, in comodi e caldi uffici costosissimi, seduti sia che facciano, o non facciano, bene il loro lavoro nel pubblico interesse.
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