Ricordi de Il Tempo – Paura in cima al palazzo
L’Aquila – (di G.Col.) - Da oggi nell’edizione nazionale de Il Tempo manca l’inserto Abruzzo-Molise. Per aver lavorato molti anni nella redazione del quotidiano fondato nel dopoguerra da Renato Angiolillo e diretto, in seguito, da Gianni Letta, siamo indissolubilmente legati a quel giornale, e vogliamo raccontarvi alcuni ricordi che ci sembrano significativi. Con la sigla G.Col., come allora. Come se il giornale che molti anni orsono sceglievano oltre 20.000 abruzzesi ogni giorno ci fosse ancora.
VIA TRE MARIE – (Foto: il ristorante Tre Marie, di fronte all’ingresso de Il Tempo, i portici di Palazzo Federici e Andrea Fusco) – Il Tempo aveva la redazione in via Tre Marie, in un austero palazzone con porticato, a pochi metri dallo storico ristorante dallo stesso nome: Tre Marie, e dallo storico bar Europa. Purtroppo, c’erano 92 scalini per arrivare – ascensore fuori uso da una vita, polveroso e annerito – al terzo piano. Capitava spesso di farli in salita anche quattro-sei volte al giorno. Ma eravamo giovani e gagliardi, e spesso competevamo in velocità (gradini due-tre per volta) con il collega Franco Giancarli, uno sportivo appassionato anche di calcio.
La redazione era in un appartamento dai soffitti altissimi e gli infissi malridotti, pesanti, antiquati persino allora. Panorama sui tetti, sul Gran Sasso-San Franco e sulla pineta di Monteluco. Il palazzone Federici era massiccio e dotato di finestroni, secondo uno stile decisamente out, ma con una sua dignità formale. Al piano di sotto c’erano le porte secondarie del cinema Imperiale. Il portiere factotum era Sabatino Romano, un personaggio sui generis che ci impediva con autorità inflessibile persino di introdurre un motorino nell’atrio dalle porte a ventri. Infatti, ce lo rubarono in via Tre Marie. Era giallo.
Una sera del novembre 1980 eravamo rimasti in redazione chi scrive e il collega Andrea Fusco, oggi importante giornalista sportiva della Rai, allora esordiente cronista di provincia, uno strano ragazzo palestrato (mica era da tutti, a quei tempi), ironico, esperto di musica antica, studente di lettere, capace di consigliarti buone letture, ma soprattutto determinato a diventare qualcuno: esattamente ciò che è oggi.
Uno in una stanza, uno in un’altra, a ticchettare sulla Olivetti 42 in attesa di scendere a strusciare sotto i portici. Ci beccò una scossa di terremoto niente male (era il risentimento del sisma dell’Irpinia, un disastro immane), ma rimanemmo a scrivere. Il palazzo altissimo e mastodontico ondeggiava paurosamente ad ogni terremoto. Lassù si sentiva e come. Qualche commento, ma niente di che.
Poco dopo ci furono altre scosse, e forse ce n’erano state prima. Fu allora che Fusco con calma e alzando la voce dall’altra stanza chiese: “Ma che stiamo a fare, ad aspettare la morte?”.
Ce ne andammo scendendo rapidamente – ma dignitosamente – le 92 scale. Dal basso veniva un brusio nervoso e crescente. Era la gente che lasciava il cinema Imperiale e sciamava in via Tre Marie, per infilarsi sotto il porticato. Una scelta avventurosa, sapendo poi come è finito quel porticato nel 2009. A pezzi, tutte le colonne imbracate e incatenate. Da un telefono a gettoni chiamammo Roma per sapere che volevano servizi o altro sul terremoto. No, in Irpinia c’era stata ben altra tragedia, ne avevano fino ai capelli. Bastarono dieci righe urlate al telefono agli stenografi (allora si lavorava così, imparino i giovani rampanti cronisti di oggi ultramuniti di tecnologie) da inzeppare nell’edizione Abruzzo, in neretto. La notte passò con la paura del terremoto, che fa parte della nostra vita. Non fu l’unico sisma beccato lassù al terzo piano, erano in arrivo quelli del 1984 (parco d’Abruzzo). E poi tutti gli altri. Sempre raccontati sul Tempo d’Abruzzo anche da chi scrive, che di terremoti ne ha dovuti ingoiare in quantità .
Se fai il cronista, ti tocca questo e altro…
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