Ipertensione: aumentano i giovani a rischio, spesso ignorata la pericolosità


(a cura di Flavio Colacito – psicopedagogista). Fino a qualche anno fa pensare all’ipertensione arteriosa tra i giovani italiani significava fare riferimento a pochi casi, statisticamente molto circoscritti, legati a problemi di salute complessi. Attualmente la situazione è cambiata e molti di essi risultano essere ipertesi, mentre la cosa più preoccupante riguarda il fatto che un’elevata percentuale di loro lo ignora. Naturalmente a Bologna la SIIA – Societa’ Italiana dell’Ipertensione Arteriosa, nel secondo giorno del suo XXXI Congresso Nazionale, ha subito evidenziato le dovute considerazioni su un fenomeno in aumento decisamente a rischio per la collettività giovanile . “Non esiste una nuova malattia chiamata ‘ipertensione giovanile’ – tiene a precisare il Presidente Claudio Borghi, del Sant’Orsola Malpighi di Bologna – il problema e’ che questa condizione oggi compare molto in anticipo, talvolta 5/10 anni prima rispetto al passato, per effetto dei nuovi stili di vita e dello stress”. Tale fenomeno ha cause ben precise, conosciute da tempo, le stesse che determinano l’insorgenza dei sintomi tra gli adulti, ovvero la sedentarietà, la perdita del sonno spontanea o provocata, l’intossicazione tecnologica causata da un’ esposizione prolungata a cellulari e a computer, ma anche un’alimentazione scorretta collegata all’assunzione di cibi e bevande ipercaloriche , frutto dei frequenti pasti consumati spesso giornalmente preso i fast food. “Per affrontare il problema dell’ipertensione nei giovani oggi non basta più l’approccio tradizionale, serve capire com’e’ cambiata la loro vita”, precisa il Prof. Massimo Volpe, dell’Universita’ La Sapienza di Roma – Ospedale Sant’Andrea. “Ad esempio, in media, i ragazzi italiani mangiano fuori tra le 8 e le 10 volte a settimana: questo impedisce di controllare l’assunzione di sodio e grassi. Non mi stupirei – afferma Volpe – se l’eta’ media in cui si manifesta la condizione si abbassasse ulteriormente”.Volpe è impegnato nella conduzione di uno studio, “iGame”, che avrà il proposito di capire con precisione quanto sia estesa la problematicità del fenomeno nella popolazione, sottoponendo ad analisi accurata un campione che andrà dai 4mila ai 6mila soggetti. “Noi monitoriamo i ragazzi tra i 18 e i 35 anni – conclude il Prof. Volpe – ma sono preoccupato anche per i tredicenni, che ormai utilizzano strumenti informatici per un numero spropositato di ore, anche perchè la condizione potrebbe manifestarsi a quarant’anni, come conseguenza di un’adolescenza in cui si e’ condotto uno stile di vita sbagliato”. Questi risultati chiamano in causa l’educazione alimentare quale migliore risorsa per combattere situazioni di salute destinare a diventare patologiche con l’avanzare degli anni, un modo sano di nutrirsi accompagnato da uno stile di vita attivo che non vada ad intaccare la corretta percezione di sé, l’esperienza socializzante attiva e non virtuale, la dimensione psicologica dell’individuo durante l’arco tardo-adolescenziale fino all’età adulta, contribuendo a ridimensionare la spesa pubblica farmacologica per la cura dei pazienti nell’arco temporale.


12 Ottobre 2014

Categoria : Salute & Benessere
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