La litania dei terremoti che incombono non basta agli aquilani e alle famiglie dei morti
L’Aquila – (G.Col.) – (Foto: in evidenza la Commissione Grandi rischi riunita a L’Aquila nel marzo 2009, sotto il PG Romolo Como e la sede della corte d’appello in via Pile) – Grandi rischi? Non è solo una commissione di scienziati e specialisti, è anche una situazione permanente e ineludibile in cui vivono la metà degli italiani. I grandi rischi sono quelli che derivano dalla probabilità di terremoti, anche molto forti. Una delle aree a maggiore rischio è quella tra l’Appennino abruzzese – soprattutto la parte nord a confine con Lazio e Umbria – e le zone limitrofe. Da una delle quali giunse il distruttivo terremoto del 1703. Anzi, l’Abruzzo è una delle aree maggiormente esposte, più della Calabria, più della zona dell’Etna, più di quella del Vesuvio. E vulnerabili, come abbiamo visto: sono crollati anche edifici in cemento armato recenti, anche la facoltà di Ingegneria… E decine di palazzi e palazzine fatte con il fango.
Sono cose che gli imputati al processo d’appello contro la condanna a 6 anni inflitta dal tribunale dell’Aquila ai sette della G.R. ripetono oggi, dicono rapidamente ai cronisti prima di rituffarsi nelle loro auto e sparire fino alla prossimo udienza. Che avrà luogo venerdì, seguita da un’altra sabato e così via ogni settimana fino al 31 ottobre, giorno del verdetto, se tutto filerà liscio nel calendario del processo.
Magari, se le avessero dette così chiaramente e decisamente come oggi, quel 31 marzo 2009, prima o dopo la riunione a Palazzo Silone, la gente avrebbe avuto una sensazione più precisa – magari drammatica, ma salvifica – del rischio che emergeva da scosse sempre più forti e sempre di maggiore frequenza.
Non serve la scienza, basta la logica: se in una zona così a rischio, e percossa nei secoli da periodici terremoti fino al 7 Richter, il terremoto torna e dura dei mesi, sempre presente, sempre più forte, sempre più terrorizzante, è meglio rinfrescare ricordi, nozioni storiche, sensibilità e costruire velocemente una sorta di inesistente “cultura sismica”. Cosa gravissima in una zona sismica, appunto. Nulla di tutto ciò avvenne.
Dire oggi che i terremoti non si prevedono, che ci sono sempre stati nell’Aquilano, e nelle terre tra la Valle dell’Aterno e l’Umbria e il Lazio reatino, che nessuno rassicurò nessuno e così via, appare solo come una strategia difensiva che ben presto cavalcheranno con la loro potente autorevolezza e la loro facondia giuridica gli avvocatoni difensori. Uno stuolo impressionante.
Sarebbe bastato poco: semplicemente, la parola dello scienziato (“fu un’operazione mediatica” ha ripetuto ieri il PG Romolo Como) alla gente, per dire: attenti, nulla è meno prevedibile di un terremoto, ma occorre prudenza, occorre stare attenti e pronti alla fuga. Nessuno disse niente. E il terremoto portò a compimento la sua evoluzione, di scossa in scossa, fino al 5,8 ml o 6,3 mw del 6 aprile 2009, 309 morti nelle bare, 70-80.000 morti psicologicamente e socialmente nella città e nei centri del cratere. Che ancora debbono subire l’oltraggio delle case che cadono a pezzi, dei rifugi elargiti in pompa magna ma insicuri, appiccicati come scatole di cartone, benché costati una fortuna in denaro pubblico. Uno degli imputati della GR era responsabile anche di queste case spuntate dalla poltiglia e messe in piedi peggio delle costruzioni dei bambini, almeno in buona parte. Non tutte, è vero, e speriamo che sia davvero così.
Ora gli imputati (sette presenti in aula ieri) sono disfatti, smunti, provati, alcuni reclamano l’assoluzione perché “non hanno fatto niente”, ed è spuntata anche l’arma del “processo alla scienza”, affilata in primo grado per colpire la stampa e l’opinione pubblica, indicarle al mondo come una banda di abbocconi e aspiranti sciamani. Qualcuno raccolse la sfida e anche di recente ha ripetuto la sconcia storiella della “condanna per non aver previsto il terremoto”.
Roba da malafede studiata e insistita, perché assurdamente edificata su menzogne e falsità . Perché? L’Italia è, spesso, un paese indecifrabile, ma sospettabile, talvolta intelletualmente disonesto. In proporzione alle dimensioni della posta in gioco.
Lo stesso INGV ha smontato di recente anche l’altra balla, boiata l’ha definita il PG, dello “scarico di energia”, come dire tante scosse meno rischio perché il terremoto si sfoga… Lo abbiamo visto, a L’Aquila, come si è sfogato. E lo sa la storia dei terremoti, anche quella locale.
La pochezza dell’apparato di tutela della popolazione, per sfortuna di alcuni, si appalesa – sorte sarcastica – proprio durante il processo: a Genova catastrofe meteo ( simile a quelle del passato ), e – Gabrielli oggi lo ha detto – previsioni meteo o sbagliate. Ma, all’arrivo del disastro, che non avviene da un secondo all’altro, nessuno capace di allertare la popolazione, di consentire tentativi di fronteggiare il peggio, di non uscire in auto e così via. Gli SMS sul disastro sono arrivati anche al sindaco DOPO l’esondazione dei primi corsi d’acqua. E i soldi per gli interventi, stanziati dallo Stato due anni fa, non sono stati spesi: la burocrazia non li ha usati. Ad un’Italia così serve molto di più di un processo e molto di più della frase di circostanza “non vi lasceremo soli” usata dal premier Renzi. Dovrebbe dire: “Non consentiremo che accada un’altra volta e mandaremo a calci a casa o in galera diverse persone”.
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