Natale di speranza


Beffi, trittico XIV sec da S.Maria del PonteL’Aquila – (di Luigi Marra) – Con la più grande solennità e con tutto il trasporto del nostro cuore,ci apprestiamo a celebrare quella che sentiamo la nostra più importante festività, cioè la nascita di Nostro Signore, ma secondo il calendario liturgico cristiano la Natività assume importanza soltanto pari a quelle dell’Epifania, dell’Ascensione e della Pentecoste, mentre per la Chiesa sarebbe la Pasqua la festività più importante in assoluto.
La Chiesa, certamente, avrà ragione ma noi, come tutti gli uomini del mondo, affidiamo al Natale la gioia immensa di sentirci figli di un Padre celeste, di sentirci fratelli di un Figlio che per noi ha sacrificato tutto se stesso e infine di sentirci protetti, umanamente e spiritualmente, da uno Spirito Santo che ci aiuta nelle avversità e ci guida nel cammino. La figura è, quindi, della Trinità, della cui esistenza ci illumina la Bibbia, che però nello stesso tempo, dopo averci detto che il Padre è Dio, che il Figlio è Dio e che lo Spirito Santo è Dio, si affretta ad insegnarci che esiste un solo Dio. Anche se possiamo comprendere alcuni fatti riguardo al rapporto tra le diverse persone della Trinità fra loro, in definitiva la Trinità resta incomprensibile per la mente umana.
Natale 2008
La Bibbia, ad onor del vero, non ci parla di Trinità, bensì di “tre persone coesistenti e coeterne che costituiscono un solo Dio”. L’uomo, per semplicità, ha coniato il termine “Trinità”.
Ma lasciando doverosamente ai Teologi il compito, se potranno, di illuminarci sull’argomento, torniamo a parlare del Natale e del perché noi uomini diamo a questa festività il nostro massimo amore. Secondo il mio modestissimo parere di homo vulgaris, questo amore … è umano prima che divino, perché tutto ruota attorno alla famiglia, massima espressione umana della vita e della socialità e, se vogliamo, della Critianità. Ci riconosciamo, insomma, nella Natività, e se ci sentiamo un pò stretti dallo Spirito Santo, riusciamo ad accettarlo perché in ogni caso crediamo e soprattutto vogliamo, egoisticamente vogliamo, che sopra di noi ci sia un’ala protettrice pronta a darci un aiuto. E felicissimi accettiamo senza discutere che Gesù sia nato il 25 dicembre, pur sapendo che è la data meno probabile, anzi certamente sbagliata. Ma volevamo e vogliamo una data unica per tutti per celebrare la Natività, e così anche il 25 dicembre ci sta bene. Poco importa, in ogni caso, che il Vangelo non ci riporti la data precisa dell’evento, ciò che conta è quanto accaduto: la nascita di Gesù non è una leggenda, Cristo è una persona vera.
Del resto, dai tempi più antichi, la data del 25 dicembre segna festività fra quasi tutti i popoli del mondo, cristiano e non cristiano, proprio a significare pace, fratellanza e prosperità.
Il Natale si festeggia in tutto il mondo: in ogni paese, tutti i popoli, cristiani e non cristiani, nel mese di dicembre celebrano feste di pace, di fratellanza, di gioia e di prosperità, ciascuno secondo la propria cultura e le proprie tradizioni. E questo succede fin dai tempi più antichi in concomitanza con il solstizio d’inverno ed il “rinascere” del sole, quando le giornate cominciano ad allungarsi, segnando il lento percorso verso la primavera, augurio e speranza di raccolti copiosi e di cibo per tutti. Così gli antichi Egizi festeggiavano la nascita del dio Horus, i Greci quella del dio Dioniso, gli Scandinavi quella del dio Frey. I Romani celebravano Saturno, dio dell’agricoltura, con grandi feste in cui amici e parenti si scambiavano doni.
I Cristiani probabilmente vollero sostituire i riti pagani con la festa per la nascita di Gesù, figlio di Dio, portatore di pace e di salvezza per tutta l’umanità, mantenendo delle antiche tradizioni lo spirito di gioia e di speranza che la luce divina porta in ogni cuore.
Per questo, in tutto il mondo, Natale è augurio di bontà, serenità e felicità da condividere con “tutti gli uomini di buona volontà”.
Parlando del Natale come “evento” mons. Francesco Lambiasi sottolinea che l’evangelista Luca ne “concentra il racconto nel semplice, nudo fatto di un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Se si vuole mantenere intatta la verità di Gesù, occorre non scolorire il contrasto … tra la povertà scandalosa del Bambino da una parte e, dall’altra, la sua gloria abbagliante, cantata dagli angeli sotto il cielo stellato di Betlemme”. C’è nulla di più affascinante per un uomo?
In tutti i paesi di tradizione cristiana, il Natale viene vissuto con la stessa intensità religiosa, ma si registrano, aggiungiamo giustamente, delle variazioni nella organizzazione della festa che sono legate ai singoli costumi. Proviamo a citare qualcuna delle tradizioni in uso in vari Paesi, scusandoci in partenza con quelle che dobbiamo giocoforza ignorare.
In Germania, per esempio, i bambini vanno per le strade cantando in coro, e quando scrivono la loro letterina a Babbo Natale incollano sulla busta dello zucchero così che la busta stessa brilli alla luce della luna.
Negli Stati Uniti i bambini vanno in giro per le case cantando inni natalizi e ricevendo in cambio dolcetti e caramelle
In India, dove non esistono gli abeti, nelle famiglie cristiane si addobbano banani o manghi, e la notte della Vigilia si accendono lumini ad olio in cima ai muri o sui tetti.
In Polonia è dolce vedere i bambini che sorvegliano attentamente il cielo, perché, alla vigilia di Natale, solo dopo l’apparizione della prima stella la famiglia siederà a tavola: Prima di cominciare a mangiare viene fatta passare tra i commensali una sottile fetta di pane azzimo con su raffigurata la sacra famiglia; ogni commensale ne prende un pezzetto ed un pezzetto viene dato anche agli animali che vivono in casa. Spesso sulla tavola familiare vengono lasciati due posti vuoti per accogliere Maria ed il Bambinello, che in un certo modo rivivranno la Notte di Betlemme perché sotto la tovaglia sentiranno anche il calore dato da un sottile strato di paglia, che troveranno anche sotto i piedi.
In molti luoghi della Francia vige ancora l’uso, alla Vigilia, di preparare un tavolo con cibo e bevande destinati alla Vergine Maria.
In diverse regioni italiane (Abruzzo e Marche certamente) sussiste l’uso di far benedire, per il camino, un grosso ceppo che dalla vigilia a tutto il giorno di Natale, ma anche fino a Capodanno, deve dare alla casa luce e calore, e le cui ceneri verranno poi sparse nei campi per propiziare i raccolti. A dire il vero questa tradizione del ceppo, o meglio delle ceneri sparse sui campi, viene legata da molti alla protezione delle coltivazioni dalla grandine e dai bruchi. Noi, come altri certo più importanti, la leghiamo più sentimentalmente ai raccolti, senza quindi curarci dei bruchi e della grandine, che in altri momenti e senza portare danni potranno essere presenti.
Un piccolo sguardo non possiamo non darlo anche alle tradizioni gastronomiche legate al cenone della Vigilia e quindi al pranzo di Natale.
La magia del Santo Natale non si svela solo, seppur soprattutto, nel grande momento religioso che la cristianità vive con una intensità d’animo che non ha riscontri in altre ricorrenze, ma anche attraverso quella che oggi è, forse, l’unica occasione di reale aggregazione della famiglia.
Ed è la sera dell’attesa del grande evento della Natività, la notte che lega il 24 al 25 di dicembre, quella che realizza la “magia”, che induce alla vera commozione ed alla riflessione, e che, sia pure per qualche ora, dichiara guerra all’odio e proclama l’amore e la fratellanza, in casa e nel mondo.
Il rito della cena dell’attesa, con i familiari di tutte le generazioni riuniti intorno al desco, non è più il momento “pagano” del godimento, come potrebbe essere considerato, sotto certi aspetti, anche quello della vigilia del nuovo anno, ma è essenzialmente la concretizzazione della unione degli animi e dei corpi, il simbolo della divisione del pane tra fratelli, il vivere con lo stesso sentimento la commozione del suono della campana che invita alla gioia per il rinnovarsi dell’evento.
La tavola imbandita, insomma, per una volta tanto, anzi per l’unica volta l’anno, assume la veste di sacralità, perché celebra veramente la “messa” della famiglia, cioè della società umana. Il “rito” della tavola imbandita è più o meno comune in tutte le parti del mondo, a volte pure nel concetto che la cena deve essere di “magro”. Se andassimo a sottilizzare dovremmo dire che gli umani … accomodamenti hanno un po’ modificato il concetto del “magro”, che voleva solo l’uso di prodotti che non comportassero uccisione di esseri viventi, e quindi formaggi, legumi, erbe, cereali, uova (con qualche riserva) eccetera.
Oggi con “magro” si intende invece soltanto il non uso delle carni di animali dell’aria e della terra, non di quelli dell’acqua. Ecco, quindi, che il pesce trova spazio nelle liste delle vivande in Italia e, sia pure con tante eccezioni, in molte Nazioni di tutto il mondo.
E siamo a Natale. Dopo l’attesa della vigilia, la Messa di mezzanotte e le campane che a stormo annunciano che si è ripetuto il grande evento della Natività di Nostro Signore, ecco che il 25 di dicembre in tutte le famiglie ci si riunisce di nuovo per festeggiare insieme e brindare, con i liquori fatti in casa, al rinnovato impegno, sottoscritto nella notte dell’attesa, di unione familiare, di solidarietà concreta con i meno fortunati e di fratellanza umana il più ampiamente intesa.
In tutto il mondo cristiano, il pranzo di Natale riveste grande importanza proprio per l’intimo significato di unione in letizia, ed anche quanti non amano pranzare, si assoggettano a “saltare” per una volta la cena così da vivere in famiglia quel momento di gioia.
E se il camino è acceso, se fuori nevica ed i pini si colorano di bianco, la festa è ancora più bella, più dolce e, perché no, più “calda”.
Nel parlare di cene e di pranzi, mescoliamo il sacro con il profano? Certamente, ma nella consapevolezza che tutto ciò che può essere definito profano si trasforma ipso facto in sacro quando la sua esaltazione è un inno di ringraziamento al Signore per il bene ricevuto.
Nel sederci a tavola per gustare, nel suo più genuino sapore, uno dei prodotti della terra, e lo apprezziamo, e lo elogiamo, in effetti, in modo consapevole o anche in modo inconsapevole, rivolgiamo una preghiera di ringraziamento, ed il profano, quindi, si trasforma in sacro. Del resto, nella educazione di ieri, ma certamente anche in quella di oggi, il bambino veniva abituato a farsi il segno della croce ogni volta che assaggiava per la prima volta nell’anno il prodotto che la terra era tornata a donare, e tutti noi, ogni giorno, nel sederci a tavola, rivolgiamo un ringraziamento al Signore per il dono del cibo.
Ma il Signore è anche simbolo di Speranza, una “speranza viva” come si legge nella prima lettera dell’apostolo Pietro. Ed a questa “speranza viva” noi ci rivolgiamo quando abbiamo bisogno di conforto, di giustizia, di veder esauditi i nostri desideri.
“Multifaria multisque modis”: La citazione che troviamo nella lettera agli ebrei (1.1) ci dice che Dio ha parlato anche a noi molte volte ed in molti modi. E che Dio ci è sempre e comunque vicino, perché “Verbum caro factum est et abitavit in nobis”.
A questo dobbiamo aggrapparci, perché certamente Dio, “speranza viva”, scenderà fino alla nostra sconcertata umanità. Come recentemente ha detto Mons. Forte, Arcivescovo di Chieti/Vasto, “Dio si è fatto vicino al nostro dolore, ha fatto sua la nostra morte e ci ha aperto la speranza della vita. Anche per i morti e i sopravvissuti della tragedia che si è consumata in Abruzzo ….”
Nel vocabolario della lingua italiana di De Mauro, la speranza è definita “stato d’animo di attesa fiduciosa nel compimento imminente o futuro di un evento, nel raggiungimento di uno scopo”.
Noi questa speranza l’abbiamo, e siamo certi che, attraverso questa durissima prova, L’Aquila e l’Abruzzo sapranno risorgere dalle rovine materiali proprio per la forza della volontà umana di rinascita, che certamente abbiamo, ed attraverso la speranza che il Signore ci starà vicini in questa apocalisse che è disastro, ma anche rivelazione, l’avvento più o meno prossimo di una realtà migliore di quella che possiamo immaginare.
Buon Natale e buona speranza.
(Nelle foto il Trittico di S.Maria del Ponte a Beffi, XIV secolo, e piazza Duomo addobbata, appena un anno fa, oggi sconvolta)


12 Dicembre 2009

Categoria : Dai Lettori
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