Cetacei e company insabbiati? Meglio attrezzarsi


L’Aquila – (di G.Col.) – Petrolio e altri doni della natura ci servono per tenere in piedi la nostra consumistica società, che vive di energia, per almeno molti altri decenni ne saremo dipendenti, checchè se ne pensi e se ne dica. In Adriatico ci sono petrolio e gas, e se non ci affrettiamo a prenderci la nostra parte, se li prenderà la Croazia, molto più veloce nel decidere sui propri interessi. Stanno già trivellando a tutto spiano, e c’è pure il nostro ENI a dare una mano. Va a fare il suo mestiere, visto che in Italia non glielo fanno fare.
Da questa prospettiva non si esce. Oppure accettiamo senza strepitare di spegnere le luci e i motori, e di tornare alle candele e alle bighe. Il che, detto sottovoce, non sarebbe poi tanto male…
I capodogli di Vasto sono stati probabilmente terrorizzati dalle diavolerie adoperate per succhiare idrocarburi dai fondali marini, che in Adriatico fino al Gargano sono bassi. L’Adriatico è un maretto, una specie di laguna, che solo verso sud sprofonda in abissi e diventa Ionio, diventa un vero mare.
Questa è la realtà. I capodogli e altri abitanti del mare, compresi i pescicani, si inoltrano in Adriatico rimanendovi quasi imprigionati. In contatto con le strutture di trivellazione dei fondali, si spaventano, fuggono, spesso si spiaggiano oppure muoiono, come tre dei sette capodogli di Vasto, per una sorta di embolia da emersione rapida. Così pare sia accaduto. Come per i sommozzatori e i subacquei imprudenti.
Direte: non è un problema, quanti cetacei appaiono in Adriatico?
Non tanto pochi come si potrebbe pensare, e non solo cetacei. Casi di spiaggiamento si sono avuti in passato. Eccone alcuni. Una balena al Conero nel 2010. Sette capodogli sulle coste di Gargano. Quello di Rocca San Giovanni del 1960 (una balena), quello a Torre di Cerrano del 1984, quello del giugno scorso di un pesce luna. Molti altri casi di delfini e tartarughe. Le creature del mare si arenano. Capita. Ed è sempre difficile aiutarle, salvarle, rigettarle in mare. Avviene, spesso, solo grazie alla generosità di centinaia di volontari. Come a Vasto. Gente che non cerca il nome sul giornale, ma spinge il capodoglio verso il largo, se ci riesce, e torna a casa. La parata delle autorità intervenute “prontamente” appartiene alla inguaribile retorica del presenzialismo, dell’efficientismo, che purtroppo molti mass media assecondano piattamente. L’elenco dei vip è spesso più nutrito di quello dei risultati conseguiti.
Detto per onestà di cronaca che nel 1960 le trivellazioni non c’erano, e la balena si spiaggiò lo stesso a Rocca San Giovanni, andrebbe auspicato un minimo di organizzazione. Come sempre, occorrerebbe fare tesoro degli avvenimenti, e provvedere subito dopo ad attrezzarsi per aiutare in futuro altri abitanti del mare che dovessero finire sugli arenili, trivelle o non trivelle. Petrolio o non petrolio. Un mezzo adeguato, almeno uno per regione, personale preparato, centri di coordinamento degli interventi, una sola autorità a dare ordini. Sensati ed emanati da persone davvero competenti.
Qualcosa di meno confuso, caotico, rispetto a quello che abbiamo visto a Punta Penna. Tutti generosi e bravi, gente dal cuore d’oro, quattro capodogli salvati. Bellissimo. Ma forse occorre fare di più e considerare il fenomeno, preparandosi a fronteggiarlo. E’ sempre meno raro. E invece di abbandonarci alla stucchevole retorica dell’animalismo e dell’ambientalismo che pretende di affondare le piattaforme, ma anche di andare in auto e di scaldarsi d’inverno, e non risponde quando si ricorda che la Croazia ci sta fregando alla grande, cerchiamo di ragionare e di decidere le cose giuste nel momento giusto. O a qualcuno conviene l’emergenza per mettere in luce i muscoli e le prediche?


14 Settembre 2014

Categoria : Cronaca
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