Papà , mi laureo in selfiologia
Ben presto – se ci sarà un domani, cosa di cui oggi è difficile essere certi… – un padre sentirà dal figlio o dalla figlia frasi del genere: “Voglio laurearmi in selfiologia, magari laurea breve triennale…”. L’Università di Teramo ha precorso i tempi e istituito un corso per approfondire l’argomento selfie.
Cominciamo a chiarirci: selfie è una parola inglesizzante che non esiste. Significa, oggi, fotografarsi da soli con lo smartphone o con qualche altro ordigno dei tanti che compaiono ogni giorno. Una volta si diceva ad un passante: “Per favore, ci scatta una foto?”, poi ci si metteva in posa di solito sorridendo come idioti e si aspettava lo scatto con la Torre Eiffel alle spalle, o altri simboli analoghi. Qualche volta la fotocamera la rubavano e se la davano a gambe. Di solito no.
Oggi dilaga la terribile abitudine del selfie, che quasi sempre dà risultati allucinanti, visi distorti, nasi lunghi, sorrisi totalmente demenziali, espressioni beatamente liete. Di che? Di potersi imporre sulla rete, di pubblicare la propria faccia, altrimenti chi la vedrebbe, chi la noterebbe? Tutto ciò è onestamente da depressione collettiva, una specie di fine del mondo, ma non nell’olocausto o nel day after tomorrow, bensì nel ridicolo più vistoso. Si chiude nel grottesco.
Dai corsi di Teramo cercheremo di capire cosa accade, cos’è il selfismo, cosa sottintende, se siamo gravi o solo banalmente rimbecilliti. L’Università si adegua, e fa bene: i fenomeni si studiano. A patto che qualcuno, tra un selfie e l’altro, sia ancora in grado di capire ciò che diranno gli esperti. Il fatto che in tanti non capiscano di essere ridicoli solo pensando al selfie e alla propria faccia, lascia supporre che a capire saranno in pochi. Ma bisogna provarci.
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