Insediamento Accord Phoenix, iter finale?


L’Aquila – MANCHEREBBE SOLO UNA FIDEJUSSIONE BANCARIA – Domani, 10 settembre, potrebbe finalmente profilarsi quanto meno l’iter dell’insediamento di uno stabilimento della Accord Phoenix nell’area produttiva di Pile a L’Aquila. Presso la sede di Invitalia, a Roma, se non ci saranno altri cambiamenti e altri intoppi, o – tanto per cambiare – rinvii, dovrebbe esserci un ennesimo incontro per accertare l’esistenza di una fidejussione di garanzia della Deutsche Bank, che aprirebbe la strada all’azienda di smaltimento dei rifiuti elettronici. Un insediamento da parte di un’azienda che fa capo ad un anglo-indiano, che a L’Aquila darebbe lavoro ad almeno un centinaio di persone eiettate dai siti produttivi un tempo esistenti nella zona della ex Finmek. I ruderi di quello che un tempo fu il polo elettronico aquilano, orgogliosamente spacciato come cuore pulsante dell’industria e dell’economia.
In effetti, qualcosa del genere c’era, ai tempi della ex Italtel e di aziende con diversi nomi, funzionanti negli anni precedenti: tempi d’oro, almeno in apparenza, con 5.000 occupati e paurosi ingorghi alla mattina e alla sera, all’uscita degli operai dagli opifici.
Quando L’Aquila sembrava una piccola Milano, ostentava un’opulenza fasulla (in realtà lo Stato finiva con pareggiare i bilanci sempre in rosso acceso…), annaspava nei problemi del traffico e dell’affollamento, che non sapeva risolvere restando in cuor suo sempre un paese goffo. Ma tutto andava, tutto filava, e i politici raccomandavano a destra e a sinistra. E macinavano voti. L’Italietta dei trucchi e delle spinte gongolava e credeva di essere ormai un paese ricco, scialone e benestante.
Poi crolli, cattedrali nel deserto, fughe, fallimenti, cassa integrazione, mobilità, bugie, arresti, promesse di politici allo sbaraglio, manifestazioni, cortei inutili per lasciare in prima fila i vip locali, cose ripetute per anni, e una regressione economica da anni Venti negli USA. E, finalmente, oggi si parla di un’azienda che arriva – appunto la Accord Phoenix (inutile cercare sue notizie o immagini su Internet, non ne compaiono: c’è solo l’indirizzo di una sede a L’Aquila, via Cencioni), alla quale da due anni vengono opposti tutti gli ostacoli del mondo. Come se l’area aquilana fosse florida e non avesse bisogno di occupazione.
La fidejussione bancaria garantita dovrebbe essere l’ultima stazione del Calvario. Costo, 12 milioni pubblici, il denaro chiesto dall’imprenditore anglo-indiano Shankar per appollaiarsi a L’Aquila. Il che ha voluto dire una valanga di verifiche, vagli di varie autorità e uffici. Tutte cose che in Italia richiedono tempi smisurati. E che in Irlanda o Germania si sbrigano in poche settimane.
E allora perché questi imprenditori scelgono l’Italia? E’ chiaro, perché deve convenire: aree gratis o meno costose, sostanziosi aiuti pubblici? Se non ci sono grassi vantaggi economici, non si sceglie un paese come l’Italia, smandrappato, tasse enormi, burocrazie spaventose, energia dai costi stellari, conflittualità sindacale spesso esasperata. Per non dire dei tempi lunghissimi e di una burocrazia puntigliosa, lentissima, che ha carta nelle vene invece del sangue.
All’incontro di domani a Roma dovrebbero assistere il sindaco Cialente e l’assessore regionale Lolli. Due che da due anni nella carta Accord da giocare ci credono. Speriamo sia una carta vincente.


09 Settembre 2014

Categoria : Cronaca
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