64 anni fa il Gran Sasso tremò di brutto, giorni drammatici nell’Aquilano e nel Teramano
L’Aquila – (Foto:Faglia di Pettino, faglia di Monte Marine a Pizzoli, e più grande, faglia del Cefalone a Campo Felice) - Anno 1950, 64 anni fa ieri: il Gran Sasso tremò e tremò ancora, per una serie di terremoti insoliti nel massiccio. Ma forti. Terrorizzarono l’Aquilano e il Teramano fino sulla costa. Più nel versante teramano che in quello aquilano, come dice la mappa che pubblichiamo.
Oggi, pur dopo il 2009, pochi, o nessuno, hanno memoria di quegli eventi sismici nell’area del Gran Sasso avvenuti nel 1950, nel 1951 e nel 1958. Una terra sismica, come la nostra (praticamente quasi l’intero Abruzzo, con aree di massimo rischio), dovrebbe avere memoria della propria storia sismica, dovrebbe divulgarla, portarla alla conoscenza dei giovani (che spesso di queste cose non sanno nulla e, quando i terremoti si ripetono, subiscono traumi profondi), ma anche dei meno giovani non sempre consapevoli della verità storica. La verità è che i terremoti la gente vorrebbe dimenticarli oppure, una volta subiti, cancellarli nell’illusione che sia un qualcosa di… già dato. Quindi ormai alle spalle, tra i guai subiti.
Purtroppo non è così. Tutt’altro. E la prima convinzione da scacciare è quella, putroppo ancora molto diffusa e persino da taluni divulgata, secondo la quale il terremoto è periodico: ha i suoi tempi, i suoi cicli, e per l’Abruzzo tali cicli sarebbero addirittura secolari.
Una falsità scientifica, ma anche statistica. Ribadendo che la periodicità è illusoria, comunque relativa a un paio di secoli, mentre si ignora tutto del “prima”.
Ecco perché è bene per tutti ricordare gli eventi, per essere consapevoli sia della loro imprevedibilità ancora oggi assoluta, sia delle tante sciocchezze che si divulgano, non ci capisce bene con quali intenti. O forse si capisce troppo bene, ed è agghiacciante: non incrinare certezze (false) e convinzioni (sballate) che possono essere fonte di lucro per molti.
La storia dei terremoti dal ’50 in avanti è incredibilmente anche la meno nota. Tanti sanno qualcosa del sisma del 1703, o di quello del 1915 nella Marsica. Tutt’al più di quello del 1706 in zona Majella e Valle Peligna.
Niente di quelli del Gran Sasso, molto più recenti, evidenza palese che il terremoto in Abruzzo non ha periodicità secolare: tutt’al più se vogliamo crederci per forza, di qualche decennio. Ma non è una certezza, né bisogna costruirci sopra convinzioni o speranze.
Il 5 settembre 1950 alle ore 4 e 8 minuti un forte terremoto colpi Gran Sasso, epicentro vicinissimo al Lago di Campotosto. Riguardò le province dii Teramo, Pescara, L’Aquila e Rieti. Fu avvertito fortissimo, si capisce, soprattutto a L’Aquila e nel Teramano. La magnitudo momento fu 5,7, in sala Mercalli VIII-IX grado.
Gli specialisti ricordano che fu il terremoto più forte rilevato sul Gran Sasso, che non ha una importante sismicità propria, pur essendo prossimo a zone di alto rischio come la Valle dell’Aterno, la zona di Amatrice, la vicina Umbria, la valle del Tronto.
L’8 agosto 1951, nuova forte scossa, mw 5,3, naturalmente dopo una serie di terremoti minori che durarono mesi, che rappresenta l’evento più forte del periodo sismico successivo alla scossa principale. Oggi, dopo studi sui fenomeni, che pochi conoscono, si legge che “in base ai dati acquisiti sulla distribuzione del danno è possibile ipotizzare che il terremoto del 1950 sia stato causato da una sorgente con direzione circa E-O, al di sotto dell’edificio strutturale della Laga, tra Campotosto e Pietracamela”.
Le scosse del 5 settembre 1950 furono due, quasi ininterrotte. I dati noti oggi spiegano che vi furono altri eventi forti a settembre (il 18) e a marzo dell’anno successivo. Seguirono diverse repliche: tra queste le più significative furono quelle del 18 settembre 1950 con lievi danni nell’area di Montereale, quella dell’8 marzo 1951 con danni nell’area di Pizzoli e Campotosto e quella del 21 maggio 1951 con lievi danni nell’area di Campli.
I danni? Furono sicuramente rilevanti sia nell’Aquilano che nel Teramano, e probabilmente vi furono anche alcune vittime e dei feriti. Siamo talmente sprovvisti di dati sulla nostra storia, che è impossibile dirlo oggi. A memoria, c’è chi rammenta cornicioni e comignoli caduti, case puntellate, tetti sconquassati, abitazioni abbandonate, case di campagna semidistrutte. L’antisismicità era un parola vuota. Non c’erano regole e non ce ne furono dopo. In fondo, ce n’erano poche persino fino a prima del 2009 e la microzonazione era un’utopia. Un solo dettaglio: a L’Aquila si decise di lasciar sviluppare per chilometri la città – Pettino e Cansatessa – esattamente su una faglia attiva, peraltro visibile a occhio anche nel panorama.
Ignoranza, totale incapacità politica, loschi interessi e disinteresse quasi fatalistico in materia di terremoti hanno causati danni enormi e la devastazione del cratere, anche laddove gli edifici avrebbero dovuto risentire molto meno del sisma 5,8 di magnitudine locale, o se volete 6,3 di magnitudine momento, scatenatosi – dopo tante scosse ignorate colpevolmente – alle 3 e 32 del 6 aprile che nessuno dimenticherà.
Crollarono case in centro, ma anche edifici in cemento armato (?) recenti e blasonati, tipo palazzo di giustizia e facoltà di ingegneria. Il viadotto di Belvedere è ancora chiuso. Centinaia di palazzine “antisismiche” sulla carta si polverizzarono. Ma dirlo e ridirlo non sarebbe una scoperta. Lo sappiamo tutti, amaramente.
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