L’opinione: “Quel pasticciaccio di Perugia”
L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) – Il 6 dicembre il Corriere dell’Umbria ha diramato la notizia secondo la quale Amanda Knox sarebbe la vincitrice di un concorso letterario riservato ai detenuti del carcere di Capanne, a Perugia, organizzato dall’Associazione perugina di volontariato della Caritas diocesana, con un racconto che narra il ferimento di una ragazza in una casa in cui si tiene un festino a base di droga. Il racconto si intitola “Amore Mio” e l’autrice immagina di ricevere una lettera da un uomo innamorato di lei, che si rammarica per non averla soccorsa. Se fosse confermata la notizia getterebbe ombre ancora più lugubri e lunghe su un personaggio a dir poco enigmatico, raccontato come un angelo di rara sensibilità dai familiari e come una maliarda priva di scrupoli da tanti che l’hanno conosciuta a Perugia. La sentenza pronunciata contro di lei ha messo in moto l’opinione pubblica americana e la senatrice dello stato di Washington (quello in cui vive la sua famiglia) Maria Cantwell, si è appellata al segretario di Stato, Hillary Clinton, affinché esamini il caso di Amanda che, secondo lei, sarebbe stata giudicata più per la supposta condotta di vita che per le prove acquisite, con una procedure discutile se non addirittura medioevale. La senatrice ha affermato “Ho seri interrogativi riguardo il sistema giudiziario italiano, penso ci sia stato dell’antiamericanismo a contaminare questo processo, l’accusa non ha prove sufficienti da presentare ad una giuria imparziale, al fine di concludere, al di là di ogni ragionevole dubbio che Amanda Knox sia colpevole”. All’origine dell’attacco mediatico contro il sistema giudiziario americano le dichiarazioni di un noto avvocato americano, tanto conosciuto quanto discusso: quel celebre Joe Tacopina che già nel febbraio scorso aveva attaccato la conduzione delle indagini nei confronti della Knox. Si tratta dello stesso avvocato che doveva discutere l’acquisto della Roma dalla famiglia Sensi per conto del finanziere Soros, affare poi sfumato o forme mai neppure esistito. E sebbene davanti alle Telecamere Tacopina dichiari di non aver letto gli atti del processo ma di essersi fatto lo stesso un’idea precisa del caso per averlo seguito per conto di un network americano, giunge a conclusioni ass9olute circa l’infodatezza delle prove e, pertanto, della sentenza di condanna. E’ il primo attacco contro il lavoro della polizia scientifica italiana, un filone che in seguito verrà poi sposato anche da altri in seno al partito degli “Amanda’s friends”. E siamo al 30 settembre. Dalle colonne del prestigioso New York Times un articolo durissimo prende di mira di nuovo il lavoro della scientifica: “Details Only Add to Puzzle in Umbrian Murder Case”. Non c’è movente, non c’è certezza sull’arma del delitto, non c’è orario preciso della morte di Meredith, scrive il corrispondente, solo indizi. Non solo, si criticano anche le continue fughe di notizie dall’inchiesta, ciò che agli occhi del pubblico americano può apparire sconcertante.Non è finita qui, perché durante l’ultima udienza della fase preliminare altri due attacchi violentissimi piovono da oltreoceano. E’ il 18 ottobre, il giudice dello stato di Washington Michael J. Heavey, vicino di casa della famiglia Knox, padre di una compagna di classe di Amanda, si rivolge direttamente al pm per perorare la causa della ragazza, spiegando che Amanda non può aver fatto le cose di cui viene accusata. Basta conoscerla, annota il magistrato, per rendersene conto. Quello stesso giorno Mignini in udienza denuncia gli attacchi mediatici, mentre già il network Nbc prepara una nuova bordata: un video in cui si mostra la trascuratezza degli investigatori della scientifica durante il sopralluogo nella villetta di via della Pergola. I punti in esame sono molti: una poliziotta sfonda la porta con un calcio, un’altra raccoglie materiale organico dal muro della stanza in maniera avventurosa, un terzo agente scuote alla meglio il piumone su cui vi sarebbero tracce importanti da repertare. A reggere le fila della controinchiesta un altro avvocato, Ann Bremmer, consulente legale del network. La Mobile di Perugia ribatte punto su punto: il video fa riferimento a un altro sopralluogo, quello nell’appartamento al piano di sotto, dove viveva il fidanzato di Meredith, Giacomo Silenzi, in quei giorni fuori Perugia. Ma i malumori e le critiche giornalistiche e medianiche, si acuiscono dopo la sentenza, con pesanti, intollerabili critiche verso la nostra giustizia da parte del popolo americano. Secondo il padre di Amanda, la vita personale con i dettagli del suo carattere, pubblicati da gran parte dei media, hanno completamente oscurato l’attenzione su ciò che è realmente accaduto quel fatidico 2 novembre 2007 e quindi scritto la sentenza. La famiglia Knox, con le lacrime agli occhi, ha promesso di continuare la sua battaglia per liberare la giovane Amanda dalle pesanti accuse contro di lei. A breve dovrebbe arrivare un esposto di Ann Bremmer, conduttrice della NBC ed inviata per la stessa rete da l’Italia, mentre già è arrivata una lettera di un gruppo di studenti e professori di Seattle, i quali si augurano che il processo di appello si svolga nel rispetto dei diritti degli imputati e che l’attenzione dei media non influenzi i giudici, unitamente ad un appello per una richiesta d’intervento al Csm perché riveda la sentenza di primo grado. A ciò ha replicato il vicepresidente, Nicola Mancino: “Il Csm non può interferire nei processi, ma certo il giudice deciderà sulla base delle prove e non delle suggestioni mediatiche”. Una risposta che vale tanto per gli americani, evidentemente impressionati dalla complessità della procedura penale italiana, quanto per gli inquirenti perugini, che denunciano le pressioni della stampa Usa e italiana. Il giudice deciderà sulla base delle prove, non certo sui titoli di giornale e di telegiornale. Che siano favorevoli o meno alla pubblica accusa. Ieri Ian Kelly, portavoce del Dipartimento di Stato americano, ha dichiarato che non vi è ragione di pensare che la condanna della studentessa americana per omicidio in Italia sia segnata da irregolarità e, ancora, che il Segretario di Stato Hillary Clinton si informerà sui fatti già nelle prossime ore. Sul caso, nei giorni scorsi, era intervenuto anche l’ex-segretario di stato Madeleine Albright, affermando di non pensare che la sentenza di Periugia sia stata dettata da sentimenti anti-americani. Alla Cnn la Albright ha detto che “l’Italia è un buon alleato e non sono affatto sicura che la sentenza sia stata dettata da sentimenti antiamericani anche perchè nulla indica che non siano state seguite le regole penali in vigore”. Gli americani che criticano la nostra giustizia dovrebbero rammentarsi del Cernise, dell’omicidio Callipali, della crisi di Siconella, ecc., che dimostrano come loro, non noi, non intendono dare ragione ad alcuno degli atti anche più riprovevoli dei loro cittadini. Ha tutto l’interesse, quindi, ol’ambasciata americana a Roma, che già ieri ha voluto smorzare i toni, chiarendo che gli Stati Uniti “non commentano” il sistema giudiziario italiano: “La vicenda – spiegano dalla sede dell’ambasciata di via Veneto – continuerà ad essere seguita”, ma “come avviene per qualsiasi caso giudiziario che riguardi cittadini statunitensi”. Anche Frattini, dopo aver sgombrato il campo dagli equivoci di presunte tensioni diplomatiche, ha definito “giusto e normale” l’interessamento del segretario di Stato Usa. “Io ascolto molte persone che mi vengono a parlare del caso Forti o del caso Parlanti i due italiani detenuti negli Stati Uniti che si proclamano da anni innocenti. È giusto che Hillary Clinton ascolti una senatrice americana”, ha detto. Secondo la famiglia della Knox, intanto, quelle che stanno giungendo dagli Usa sono “iniziative autonome”. Oggi 9 dicembre, lo scrive il Corriere della Sera, Amanda Knox ad un parlamentare che è andato a trovarla in carcere, ha dichiarato: ““Ho ancora fiducia nella giustizia italiana. Certo che ho una voglia matta di essere libera, ma la strada che ho scelto per uscire da qui è solo una, l’appello”. Forse Amanda ha più giudizio di tanti americani, anche politici e giornalisti ed ha compresio che in Italia, nel suo ed in altri casi, avremo magari una giustizia lenta, ma certo molto garantista ed avanzata. Pensino invece gli americani liberal e garantista, a togliere la pena di morte nei 18 Stati in cui è ancora comminata (l’ultima esecuzione oggi nell’Ohio, con una procedure sperimentale che prevede l’uso di un solo farmaco invece che tre) e la questione, non di poco conto, delle torture e della detenzione in condizione raccapriccianti dei detenuti a Guantalamo. Siamo il paese di Giustiniano e Cesare Beccarla e non abbiamo nulla da farci insegnare a chi la democrazia ed il diritto li coltiva da poco più di un secolo. L’America, si vede spesso nel suo cinema, ama presentarsi come la nazione dagli uomini puri e probi e quindi, preferisce la versione in cui tutto si capovolge (quella dell’avv. Buongiorno), in cui in casa, la notte del delitto non c’era nessuno; nè Amanda l’americana che per prima ha ceduto accusando i suoi amici e riservando a se stessa un ruolo piuttosto defilato, “in cucina”, ma ho sentito le “urla di Meredith mentre veniva uccisa”; non c’era Raffaele Sollecito e non c’era neanche neanche Patrick Lumumba Diya, che intanto si è bevvato, nonostante il rito abbreviato, 30 anni di carcere. Gli americani vogliono credere, alla biondina dagli occhi di ghiaccio, così cinicamente distratta da ignorare le grida di Mez morente, che si tappa le orecchie e resta in cucina, che continua a fumare nonostante le urla strazianti della compagna di studi e con il boy friend impegnato a farsi una canna, navigare in Rete e telefonare a papà. Da 9mila km di distanza e da diversi secoli di civiltà indietro, l’America scaglia un duro attacco mediatico all’inchiesta sull’omicidio di Meredith, sostenendo che la Knox è una santarellina e la Scientifica italiana fa acqua da tutte le parti perché superficiale e incompetente. Hanno la memoria corta e una vista particolare e selettiva questi americani che dovrebbero rammentare che, il secolo scorso, hanno imparato i metodi scientifici investigativi da un Italiano, quel Joe Petrosino, che con una squadra di connazionali, l’Italian Branch, rese proficua ed efficace la lotta contro la criminalità dilagante negli USA.
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