Si vende poca frutta? Sì, cattiva e costosa
L’Aquila – PRODOTTI ABRUZZESI QUASI SEMPRE INTROVABILI – Dietro le quinte impenetrabili e blindate degli affari con la frutta e gli ortaggi, nessuno ha mai voluto, o è stato capace, di gettare lo sguardo. Chi da decenni ha in pugno quel comparto, e lo gestisce da padrone, continua ad averlo in pugno. Né leggi né regole, in compenso molte lamentazioni e, negli ultimi anni, anche crolli disastrosi degli affari. Con conseguenze nefaste anche per la salute delle persone: mangiare poca frutta e verdura non fa stare bene, anzi proprio il contrario.
Solo da poco sono comparsi qua e là i negozi di Campagna Amica, con prodotti a chilometro zero. Vere pecore nere nell’immenso gregge delle pecore bianche. I centri commerciali continuano a smerciare ciò che conviene loro scegliere. I contadini restano degli sfruttati, ai quali le patate del Fucino vengono pagate pochi centesimi, e a noi vendute a 1 euro e 40. Se riuscite a trovarle…
Il ritratto della grande distribuzione è desolante. Sui banconi verdure secche, frutta con i moscerini, pere argentine o sudafricane dure da toccare, ma color marrone dentro. Marcite o quasi. Gli agli sono spesso rovinati, da buttare appena acquistati.
Non sappiamo cosa ingeriamo mangiando la frutta. Non sappiamo cosa viene aggiunto alla frutta, come vengono irrigati i campi dai quali provengono verdure e ortaggi. Al più, in alcuni supermercati si scrive “prodotto in Italia”. E’ una garanzia? O dobbiamo credere i venditori sulla parola? La sola scappatoia per chi non può spendere, sono le offerte speciali, che la maggior parte dei marchi commerciali garantiscono. Ma senza garantire certo un minimo di qualità delle merci offerte: qualità che viene appena mantenuta ai minimi livelli, ma solo sporadicamente.
Se la regione avesse voluto, negli anni – e ancora oggi – davvero sostenere e proteggere la nostra economia agricola, avrebbe costretto le grandi distribuzioni commerciali, padrone del nostro territorio (l’Abruzzo ne annovera una concentrazione superiore a quella della Lombardia, pensate, in proporzione) a riservare spazi e banconi ai prodotti abruzzesi. Che dovrebbero essere ovunque immancabili. Obbligatori, caso mai, pena la revoca di concessioni e permessi, soprattutto a chi chiede di ampliare. Non è possibile reperire (se non sporadicamente, talvolta) patate del Fucino, patate di Montereale, il celeberrimo aglio rosso peligno, le cipolle e i fagioli di Cappelle, i ceci di Navelli, le ciliegie di Raiano o di Giuliano, i fagioloni di Paganica, le fragole di Francavilla, carciofi di Cupello e la frutta del Vastese, mele abruzzesi, ma neppure alcuni formaggi o salumi tipicamente nostrani. Per esempio, i coglioni di mulo di Campotosto. I salumi del Teramano. E tanti altri prodotti abruzzesi: l’elenco sarebbe sterminato.
Il mercato ti inchioda ai prodotti da lui scelti, che vengono imposti, in forza di interessi e potentati economici che possono più di tutti e di tutto. Anche quando, come nella Marsica, esistono forme di illegalità e inquietanti presenze “esterne”. E allora, inutile la giaculatoria delle statistiche diffuse sono con scopi occulti: dirci che si venda poca frutta e che verdire e ortaggi sono al crollo, è non dirci niente.
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