Porta Barete? Basta che qualcuno decida qualcosa…
L’Aquila – (di GIANFRANCO COLACITO) – (Foto: gli scavi e ciò che è venuto alla luce, e un bellissimo rendering propositivo di Antonello Buccella) – L’ironia è il condimento anche per gli argomenti più seri. Va considerata, quindi, l’opinione di chi dice: “Mettiamo Porta Barete al centro di un prato rotondo e facciamone una rotatoria. Tra le mille spuntate a L’Aquila, sarebbe la più bella…”
In fondo mica è una cattiva idea. Ripulire, tirare fuori dalla terra l’antica porta, consolidarla per quanto e per quello che si può, mettendo in sicurezza i monconi e i resti, darle un minimo di spazio per poterla ammirare, e isolarla nel verde. Meglio sarebbe riportare alla luce ciò che rimane sotto terra, specialmente sotto il terrapieno e il viadotto che sostiene via Roma (o quello che rimane), ripristinare per quanto è possibile la muraglia arcata che punta verso la stazione.
Ridare alla città l’ingresso che fu, quando sotto la Porta Barete, la più importante della cinta muraria di origine medievale, transitò madama la governatrice Margherita d’Austria, la quale, ricevuti onori, salamelecchi e saluti, s’inerpicò (in carrozza, si presume) sull’impettata che portava verso il centro: la vecchia, sfiancante salita di via Roma, che arrivava fino a piazza Palazzo. Dove sorse il palazzo Margherita, l’ex comune.
Certo, con un po’ di intelligenza, un po’ di storia con tanto di documenti alla mano, un pizzico di fantasia (come si fa senza?), e tanto buon gusto, si potrebbe – un domani – pensare un ingresso panoramico e autentico per la città, attraverso Porta Barete, ed un percorso storico-rievocativo in costume, una sorta di rito periodico con corteo, dedicato a madama Margherita. Che per l’Abruzzo, ma ancora di più per L’Aquila, contò moltissimo.
Chi sa tutti ne tengono conto.
Sogni, progetti, idee che sicuramente andranno al macero, saranno come neve al Sole. Infatti, al momento di Porta Barete nessuno sa cosa fare. Come su tante altre cose aquilane, ci sono poche idee ma confuse. Non è una novità.
Se logica e raziocinio possono servire, tiriamo le somme. E cerchiamo di capire quel che è essenziale: di questo prezioso reperto spuntato dalla terra (ma per molti era meglio se rimaneva dov’era, forse) cosa vogliamo farne?
Domanda-premessa essenziale: i soldi per farne qualcosa ci sono o no?
La volontà di farne qualcosa esiste o non esiste? La politica sbocconcella qua e là l’argomento, piantando spunti che somigliano a paletti, predicando e facendo cadere le parole dall’empireo. Ognuno vorrebbe vestire i panni del salvatore della patria e della cultura, ma non si cava un ragno dal buco.
Chi vuole salvare Porta Barete, e chi non vuole farne nulla? Nei centri decisionali si hanno idee, propensioni, opinioni, volontà precise? Pare proprio di no. Eppure, esistono uffici e autorità che dovrebbero decidere e farsi sentire.
E infine, chi deve decidere e cosa?
Come è costume desolante di questo paese irrisolto, pasticcione ma soprattutto fuggiasco di fronte a qualsiasi assunzione di responsabilità, la farragine delle competenze, dei rimpalli, dei rinvii, vincoli e non vincoli, o vincoli parziali; dei tavoli di confronto, della voglia di non farsi nemici, delle aree decisionali, è mostruosa. Somiglia alla terra perduta dei dinosauri del famoso romanzo inglese dell’Ottocento, che una volta i ragazzi leggevano. Un inferno di urla, barriti, ruggiti, bramiti, ululati, in una jungla in cui nessuno sa destreggiarsi. In cui sopravvivono creature preistoriche che dovevano essere estinte da millenni… Pensate a Jurassic Park, venuto un secolo dopo.
Qui è estinto, semplicemente, chi deve decidere. Sarebbe come sognare poter sentire, dopo mesi di rinvii, esitazioni, chiacchiere, qualcuno alzarsi e dire: “Decido io, compete a me. Porta Barete resta sotto terra”. Oppure: “Viene riscavata e ripristinata”.
Insomma, una decisione motivata, seria, definitiva. Infatti per essere seri mica è obbligatorio il sì. Talvolta va bene anche il no. Tanto, di male alla propria storia L’Aquila se n’è inflitto tanto, che un pizzico di più non sarebbe una tragedia. Capiterebbe l’assurdo: il terremoto restituisce un pezzo di storia, e i terremotati la riseppelliscono, così palazzi e condomini sono salvi.
Però si decidano. Temporeggiare, rimandare, aspettare che altri si addossino la responsabilità, è il peggio che possa capitare. Un generale romano è passato alla storia – negativa – come Temporeggiatore. Praticamente, un pagliaccio balbettante e disossato. Con molti emuli e discendenti.
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