Riforme, valide se valida politica
Pescara – INTERVENTO DELLA SENATRICE CHIAVAROLI IN SENATO – (di Stefano Leone) – La discussione del disegno di legge costituzionale sta impegnando in questi giorni i Senatori sugli interventi prima del voto. Oggi, l’intervento della Senatrice abruzzese, Federica Chiavaroli, vice capo gruppo dei Senatori del NCD e coordinatrice del partito in Abruzzo.
La Senatrice Chiavaroli, ha argomentato il suo intervento così: “Signor Presidente, care colleghe e cari colleghi, ho pensato a lungo a come intervenire in quest’Aula su una riforma che dopo quasi settant’anni si accinge a modificare profondamente la nostra Costituzione. Ho ripercorso il corso di questi decenni e riflettuto sul significato dell’attuale momento politico anche in relazione a quanto avvenne nei mesi precedenti l’entrata in vigore della nostra nobile Carta costituzionale. Non ne parlerò con nostalgica deferenza, non ho l’età per guardare alla Costituzione dei nostri Padri come un totem intoccabile.
Questa mia breve esperienza parlamentare, poi, mi ha reso ferma nella consapevolezza che fintanto che non abbattiamo la logica della difesa corporativa ad oltranza (e per corporazione non intendo solo quella politica) non si avrà mai il segno del vero cambiamento. Mi sento di rappresentare oggi quella generazione che con coraggio quasi movimentista vuole aggiornare, rispetto ad un’Italia che non esiste più, le regole che sottendono la nostra convivenza civile senza per questo cedere alla tentazione di una improvvida e infruttuosa antipolitica. Sono lontani i tempi in cui De Gasperi e Togliatti, Calamandrei e La Pira dibattevano dei grandi temi che hanno garantito un futuro stabile ad un paese dilaniato: la difesa dei diritti e il riconoscimento dei doveri di ogni cittadino italiano, il principio di laicità dello Stato, la difesa del pluralismo delle idee, la tutela del lavoro e della famiglia, il principio di uguaglianza, il principio dell’unità e della indivisibilità della Repubblica. Eppure, oggi come allora, siamo chiamati a ricostruire. Allora si trattava di una ricostruzione materiale: l’Italia andava ricostruita dalle ceneri di una guerra che aveva cambiato il volto e il destino del nostro Paese. Uscivamo da cinque anni di conflitto e venti di fascismo, in qualche modo, commissariati da coloro che ci avevano liberato e riportato la pace.
Molto, se non tutto, di ciò che fu scritto allora nella Carta rispondeva all’esigenza di proteggere la nostra fragile democrazia. Oggi siamo chiamati ad un’altra ricostruzione, non meno impegnativa dal punto di vista del valore democratico: oggi dobbiamo ricostruire il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Dobbiamo farlo per consolidare una democrazia che non è più fragile, ma scettica, e anche oggi si sente in qualche modo sotto il controllo dell’Unione europea che ci chiede riforme coraggiose e moderne. Cari colleghi, non siamo i Padri costituenti della Nazione e probabilmente non finiremo nella stanza dei busti di questo nobile palazzo. Questo è un palazzo però che, come i nostri Padri, vogliamo continuare ad onorare con una riforma che contiene tutti i tratti di un cambiamento profondo. Il testo che ci accingiamo a discutere e votare risponde infatti a molte indifferibili esigenze di un Paese che vuole guardare al futuro. Il nostro Paese ha bisogno di istituzioni capaci di decisioni politiche tempestive ed efficaci e di Governi stabili e duraturi. Vi è la necessità di un raccordo maggiore tra i due soggetti dotati di potestà legislativa, lo Stato e le Regioni, al fine di evitare sovrapposizioni e conflitti di competenza che generano contenzioso costituzionale e incertezza del diritto. Vi è, altresì, la necessità di un raccordo maggiore anche con l’Europa e con il Parlamento europeo, perché se chiediamo una Europa diversa non possiamo poi avere un Parlamento che si limiti a ratificare le direttive provenienti da Bruxelles.
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