Sfratti, un’emergenza sociale
Il fuoco degli sfratti era una fiammella che serpeggiava, sta diventando un incendio che infuria. Un’emergenza sociale tra il doloroso e il drammatico e che toglie il sonno a più di un politico e di un amministratore. La situazione è delicata e anche inquietante. Da un lato la legge e i suo rigore ineludibile: i fitti vanno pagati, case e map delle new town rappresentano un costo rilevante. Non ci sono solo i fitti, ma anche le bollette per i consumi. Non esistono scappatoie: chi consuma deve pagare ciò che ha consumato. Sui fitti, forse, si potrebbe cercare un escamotage e alla fine dovrà essere così, altrimenti saranno guai.
Si dirà che certe situazioni esasperate sono la conseguenza del terremoto, sono i punti deboli di una comunità che da cinque anni vive solo dolori, guai, problemi, ansie, lacerazioni sociali, fratture economiche purulente. Cresce il numero dei poveri: i vecchi poveri lo sono di più, i nuovi poveri lo sono in misura totale. Non riescono a mangiare ogni giorno. Vivono di elemosine. Tutto questo rappresenta una malattia della comunità , che non si sana tra risse politiche, invettive, scambi di insulti. Il sindaco Cialente ha scelto la strada meno facile: si ribella, alza la voce, invita lo Stato (se ne ha il coraggio…) a sfrattare, perché lui non lo farà . E quindi si espone a conseguenze giudiziarie che, supponiamo, avrà valutato.
Rimane lo sconcerto di doversi chiedere: è sopportabile che accada tutto ciò?
Non siamo uno stato sociale, come altri in Europa, ma a questo punto non siamo neppure uno stato civile, capace di garantire un minimo di dignità a tutti i cittadini e ai residenti accettati. Sentiamo dire che vengono assistiti profughi giunti da Lampedusa. Giusto. Ma come si può capire che loro vengano assistiti, e i poveri locali – davvero poveri come i profughi – siano gettati per la strada? Il fuoco divampa, non è più una fiammella.
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