Tagli selvaggi, soldi zero, strade abbandonate – Ma a Roma… ci sono o ci fanno?
(di GIANFRANCO COLACITO) –
Migliaia di chilometri di strade “secondarie”, e non c’è più un euro per tenerle aperte. Eppure, le province più grandi, L’Aquila e Chieti, si estendono su territori o interamente montani – quindi dalle invernate dure – o montani all’80%. Dovrebbe capirlo persino un politico romano… Se ha mai visto da vicino una carta geografica.
Reti stradali obsolete, tortuose, pericolose, colpite da frane e dissesti continui, che uniscono al mondo miriadi di paesini abitati quasi soltanto da vecchi, con centinaia di frazioni sparse sul territorio. In quei luoghi lo Stato è ormai scomparso (chiudono poste, carabinieri, farmacie, persino chiese, e da anni hanno chiuso negozi e tabaccherie, bar e ferramenta, di edicole neppure a parlarne).
Ora si sta arrivando all’assurdo totale. La desertificazione delle aree montane è stata, evidentemente, decisa a tavolino anche togliendo risorse alle province. Distruggendo la rete stradale, si compie un’esecuzione del territorio.
C’è un’altra ipotesi, ma vorremmo cassarla: a Roma sono cretini.
COME STANNO LE COSE – Si può riassumere in due parole. Le strade sono di competenza provinciale, ma le province o sono state liquidate e distrutte (soprattutto sul piano psicologico-politico), o per quel poco tempo che a loro resta, non hanno più denaro per la manutenzione ordinaria delle strade.
E’ evidente che nei centri di potere romani, nei luoghi in cui si assumono decisioni rilevanti per il Paese, si decidono tagli e risparmi, qualcuno deve essere semplicemente e banalmente fuori di testa. O cretino, o compice di un disegno ben congegnato e cinico. Far morire i territori, agglomerare la popolazione. Allora sì che spenderemo di meno…
Solo a vacui cantori dell’innovazione che è castrazione ottusa, può albergare nella mente un’antinomia irriducibile: come si possono togliere agli enti le risorse, ma lasciare loro le competenze e le manutenzioni, gli oneri?
I manovratori del pallottoliere romano non si domandano come potrebbero le province moriture, ma ancora esistenti, provvedere a migliaia di chilometri di strade vitali per il loro territorio, con fondi tagliati per milioni di euro? Nel corso di questa estate si assiste a scene pietose: amministratori che pregano la gente di sfalciare le erbacce gratis, come opera di volontariato da terzo mondo. Strade impercorribili, personale con le mani in mano, perchè non ci sono i soldi per i carburanti delle falciatrici. Appelli, come quello del presidente Di Giuseppantonio, ai sindaci: andiamo a Roma a gridare.
Negli anni Sessanta e Settanta, va ricordato, ogni strada provinciale aveva i suoi addetti alla manutenzione, sempre presenti. E si costruivano strade ovunque. Le stesse arrivate stremate ad oggi, che hanno bisogno di manutenzione e stanno cadendo a pezzi.
Un governo avveduto, che agisca con logica e per il bene della collettività , taglia dove può, riduce gli sprechi (ma non è capace di costringere la burocrazia a pagare i debiti della pubblica amministrazione…), ma pensa anche. Togliendo e tagliando, chi farà le cose indispensabili? Se riduco le province a larve, chi farà il lavoro che facevano le province?
Il “metodo” italiano è infatti tagliare alla disperata, “scapitozzare” tutto, ma non preoccuparsi chiedendosi: chi farà e con quali soldi, ciò che facevano i “tagliati”? Se tolgo di mezzo un ente, dovrà esserci un altro ente a svolgerne le funzioni, o no?
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