“Il prof. Conte e quelle vecchie fotografie…”


L’Aquila – (di Domenico Mastrogiuseppe) – Tanti anni fa, nel mio passato ormai remoto, ho avuto il privilegio di collaborare con il Prof. Arturo Conte. Da una posizione marginale, ma per me preziosa. Non tanto per le cose che imparavo ascoltandolo, quanto per l’interesse e per la passione verso la psicoanalisi che riuscì ad infondermi. Il contesto era quello della prigione scuola di L’Aquila, del tempo in cui si trovava nell’ala esterna del carcere di San Domenico. Vi facevo volontariato come animatore di tempo libero, intrattenendo quei sfortunati ragazzi con la fotografia: avevo allestito una camera oscura e per alleviare utilmente la pesantezza delle loro giornate cercavo di appassionarli, insegnando loro come fare le foto e come stamparle. Gli lasciavo anche una mia vecchia macchina fotografica con la quale riprendevano dei momenti delle loro giornate e poi ne sviluppavamo e stampavamo i rullini in camera oscura. Ne venivano foto che a volte risultavano preziose anche per capire meglio l’animo ed i problemi di quei ragazzi; cosa di cui si occupava il Prof. Conte nella sua qualità di consulente della Direzione e di Presidente di una commissione preposta alla definizione dei profili psicoanalitici dei reclusi. Commissione alla quale anch’io a volte ero chiamato a partecipare, nella mia qualità di collaboratore volontario dell’Istituto. Penso che molto spesso il mio sguardo tradiva l’interesse esagerato con cui lo ascoltavo e lui, con la straordinaria capacità che aveva di capire le persone, percepiva nettamente questo interesse; forse per questo e certamente anche per la sua innata natura di “Docente”, si prodigava e si dilungava nel rappresentare le motivazioni dalle quali faceva poi discendere i profili che delineavano con straordinaria efficacia le personalità di quei ragazzi. Definiva quel luogo un vero e proprio “Laboratorio di vivisezione dell’animo umano”. Per far comprendere bene il perché di questa immagine, coerentemente con la sua natura forte e semplice, di uomo rude e colto, capace di coltivare i campi e di indagare ed illuminare i recessi più profondi e nascosti delle sentire umano, la esaplicitava con un duro esempio rappresentato secondo il suo stile, senza inutili perifrasi; la sterminata sofferenza inflitta al povero Romoletto, mi diceva, annulla ogni possibilità di mediazione tra il suo sentire più profondo ed il mondo esterno. Il suo animo, continuava, proprio per il venir meno di questa mediazione, si offre in tutta la pienezza dei suoi drammi, all’osservazione ed alle “mani” del terapeuta attento e sensibile, come una pancia aperta si offre allo sguardo ed alle mani del chirurgo. Romoletto era un ragazzino romano, di appena 14 anni, con gli occhi azzurri e con una folta capigliatura di riccioli biondi. Appena arrivato, era caduto nelle mani del violento bossetto del momento; il quale se ne era “impossessato” imponendogli la sua esclusiva. Lo cedeva solo se perdeva giocandoselo a carte, con la contropartita di un pacchetto di sigarette. Non ho mai parlato di politica con il Prof. Conte e non ne conoscevo quindi gli orientamenti; so solo che sui problemi che in quel periodo ci capitava di affrontare insieme, gli opprimenti problemi di quei ragazzi, eravamo d’accordo nel riconoscerne le cause. Una società ostile e cinica, non disposta ad alcuna forma di comprensione, ne intesa nel senso del comprendere, ne intesa nel senso del capire. Una società che al primo errore, avviava quei tanti poveri ragazzi semiabbandonati di Forcella o delle borgate romane, a quella che loro stessi definivano poi la “scuola secondaria superiore”; attraverso la quale si giungeva al necessario abbrutimento, per passare subito dopo all”Università”; ovvero all’altra ala dell’allora “San Domenico”. Ricordo una sorta di sofferenza che ci accomunava, quando alcune volte ci si ritrovava a cerca di capire quei ragazzi, per cercare di dar loro ogni possibile aiuto. Un comune sentire, che rendeva la sua immagine ai miei occhi ancor più straordinaria di quanto già non fosse per le sue straordinarie capacità di Uomo di Scienza e di Uomo libero e scevro da ogni conformismo. Addio Prof. Arturo Conte. Le sue semine, sia se fatte nelle aride zolle di Caporciano, sia se fatte negli animi dei tanti aquilani che La ricordano con affetto, hanno dato sempre rigogliosi germogli.


03 Dicembre 2009

Categoria : Dai Lettori
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