Sappiamo davvero cosa mangiamo?
L’Aquila – (Foto: la confezione della cosiddetta insalata tropicale e il surimi di cui è indicata la presenza nell’etichetta) – Va di moda il Giappone e vanno di moda i cibi di origine e caratteristiche orientali. In tutti i supermercati alimentari si vende a caro prezzo (ben 13 euro al chilo) un’insalata tropicale – così viene etichettata in guantiere nere e sigillate con cellophane – di cui sono omessi il metodo di produzione, le zone di cattura del pesce usato e le stesse specie di pesce. Accanto alle diciture, puntini di sospensione.
E’ legale? Sappiamo cosa mangiamo? In questo caso, ne sappiamo molto poco.
Nell’elenco delle sostanze che il prodotto spacciato per insalata tropicale figurano una decina di additivi, conservanti, esaltatori di sapidità , coloranti, correttori di acidità e antiossidanti. Una quantità impressionante di sigle precedute da una E maiuscola. Supponiamo che tutto sia commestibile (ma non dimentichiamo le polemiche sulla pericolosità dell’acido citrico mascherato sotto la sigla E330, probabilmente esagerate e non disinteressate, ma non da ignorare) e ammettiamo che del prodotto c’è un gran consumo, non solo in Italia. Tanta chimica, comunque, spaventa.
Se pensiamo che i conservanti mantengono chimicamente il livello dell’acqua nei cibi, che sembrano sempre freschissimi… qualche perplessità ci viene.
La cosa più inquietante è comunque la presenza – dichiarata – del surimi. E’ un indecifrabile impasto di pesci tritati, polpa di pesce insomma, con sapore di granchio. Finto. E anche colore di granchio, pure quello finto, ottenuto con coloranti. Di vero c’è una cosa: il prezzo elevato.
Completa il quadro la scritta: piò contenere tracce di molluschi e di pesce. Parole enigmatiche, o soltanto usate da chi conosce poco l’italiano? Un impasto di polpa di pesce potrebbe non contenere tracce di pesce? Assurdo.
Il surimi è un alimento antico e molto usato, di origine giapponese, che sicuramente non rappresenta il meglio per la salute, incrementa il colesterolo e la presenza di grassi nell’organismo. Specie quando non si sa di cosa è fatto. E di quali pesci, pescati da chi e dove.
Supponiamo che i supermercati che vengono questo alimento sappiano il fatto loro e che esistano dei controlli di garanzia. Lo diamo per scontato.
Ma è legale vendere cibi di cui non si conosce niente, e di cui non si sa neppure come e di cosa sono fatti? Della carne sull’etichetta si legge tutto. Perché per altri alimenti non si legge niente o quasi? Le leggi sono così contraddittorie e carenti?
Segnaliamo il problema a chi vorrà tenerne conto. Ovviamente, senza accusare nessuno di niente: ma chiedendo chiarezza, questo sì.
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