Addio province, senza rimpianti
(Foto: il loglio che si insinua tra le spighe di grano) – Magari una diversa identità culturale (si fa per dire…), un differente stile politico (anche qui si fa per dire…), avrebbero dovuto suggerire alle province morenti – il 25 giugno di fatto si struggono nel nulla – un commiato. Un saluto ai cittadini, non un arrivederci perché non le rivedremo, chiedendo scusa per le tantissime cose non fatte, i soldi sprecati, il tempo perso, le carriere politiche lucrate senza dare nulla in cambio.
Se pensiamo alla Provincia dell’Aquila, che sopravviverà alle altre per alcuni mesi, sgorgano le lacrime. Inchieste, arresti, appalti a dir poco oscuri, fortune dilapidate, precari gettati via come pattume umano; la storia terribile del povero imprenditore che si incatenò e voleva suicidarsi, non pagato da anni. Mentre finanza e polizia erano di casa nel rossiccio palazzo delle nequizie in via Monte Cagno.
Eppure, se ne vanno livorosi e sfrontati, cercando altre improbabili poltrone, abbandonando debiti e bilanci in rosso, alcuni ancora imbastendo tribali danze politiche: almeno sul Titanic suonavano dei professionisti in frack, gorgheggiavano i violini mentre il precario transatlantico ferito come un guscio di noce gorgogliava nell’abisso. C’era, in alcuni, la dignità di una morte immeritata, ma accettata a viso aperto e senza sguaiate pantomime.
Le province muoiono, nessuno le rimpiangerà . La peggiore sentenza capitale. Peccato che anche pochi onesti politici, impiegati, funzionari, autisti e quant’altro appartenga a quel mondo, debba pagare il conto non meritandolo. La falce non ha occhi per il loglio, come per le spighe.
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