Cupola, tradimento: paroloni (e soldi)
Non esiste una cupola del malaffare a L’Aquila (dove circolano soldi, tanti), ma episodi. Chi li commette, però, commette un tradimento nei confronti della città e del paese. Parole altisonanti, specie se a dirle sono magistrati, echeggiando il renziano “alto tradimento” riferito ai grandi mazzettari di Venezia e di Milano. Se non esiste una cupola, la gente ha comunque la sensazione defedante e demoralizzante che a rubare siano, o siano stati (sempreché le accuse siano vere) davvero tanti, e che l’insidia crudele del malaffare diffuso incomba sulla città . Il cielo è nero sopra a Los Angeles, era il titolo di un romanzo degli anni Ottanta.
Su L’Aquila, è livido, pesante, plumbeo come una cappa che fa ansimare. I paroloni che risuonano in queste ore sono direttamente connessi al mondo dei soldi, delle tangenti (persino sulle chiese…), dei corrotti e dei corruttori, eterni attori di un dramma che pare non finire mai. Le somme urgenze per gli appalti, dice un funzionario di polizia, sono brodo di coltura degli imbrogli e delle sveltine. Bisognerebbe, diciamo noi cittadini, che gli appalti filassero veloci e senza intoppi in ogni occasione. Anche la burocrazia e le fetide lentezze infettate da scartoffie sporche è brodo di coltura. Vi si annidano ragni che ghermiscono mosche, e non solo. Tessono tele, diffondono malsane colle in cui si resta appiccicati.
L’Aquila non voleva questa ennesima mazzata alla sua immagine, sbandierata dalle tv di mezza Europa e tutta Italia. E chiede solo una cosa: si faccia presto, si smascheri, di ingabbi ogni disonesto. Arriviamo – finalmente – al livello dei puliti, dei ricostruttori senza macchia. Se ce n’è uno. La sofferenza della gente senza città , senza presente, senza futuro (gli aquilani) sta diventando cancrena.
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