Elezioni regionali, l’eredità vergognosa: non riusciamo a sapere chi abbiamo eletto
L’Aquila – (di G.Col.) – L’assetto politico regionale messo ko dalle urne il 25 maggio ci lascia un’eredità di cui avremmo fatto a meno, nella legittima aspirazione di tutelare di fronte al Paese l’immagine dell’Abruzzo. Per quanto possibile, visto che la politica, specie negli ultimi anni, ha fatto davvero di tutto per imbrattarla in ogni maniera: regresso economico e sociale, arresti, ridicole storie da fumetto durante satrapici e costosi viaggi, storie di malcostume neppure di elevato spessore cronistico. Storielle. Non via col vento, ma via con venticelli flebili e turbinosi. Rèfoli e brezze vanesie.
Che l’Abruzzo debba finire (ancora una volta, ahinoi) nelle cronache nazionali – e qualche volta anche internazionali – infangato (pur restando valido il principio che tutti sono innocenti fino alla condanna definitiva), è un tipo di oltraggio che la gente non digerisce. Ancora meno digerirà l’ultima goffa buffonata: la legge elettorale che sta impedendo la proclamazione degli eletti, mentre in Piemonte (l’altra regione in cui si è votato) tutto era subito a posto, è una cialtronata senza precedenti. Il PD si affrettava, ieri, a tirarsi fuori dal ridicolo, ricordando di non aver votato il testo legislativo. “Sono stati loro” dice il partito vincitore della elezioni additando i perdenti. I quali, a questo punto, lo sono due volte.
Produrre dopo cinque anni un testo legislativo essenziale (lo sono tutte le regole elettorali in una democrazia, quindi dovrebbero esserlo anche in Italia…) sbagliato e che, alla prova dei fatti, non solo non funziona, ma produce danni e ritardi offensivi per i cittadini, è il massimo dell’inettitudine. E’ la prova della incapacità di far fronte alla realtà ordinaria da parte di forze politiche che, fino al 25 maggio, avevano saldamente in pugno la Regione.
Insomma, una vicenda che sta in equilibrio tra il patetico e lo scandaloso. I consiglieri regionali li abbiamo sempre pagati come nababbi, ma – scopriamo – non sapevano fare il loro lavoro. La gente dopo sette giorni dal voto non sa chi ha eletto, e deve limitarsi alla certezza che il presidente è Luciano D’Alfonso. Che, anche lui, è in attesa di proclamazione. Cosa che la Corte d’appello sicuramernte farà molto presto. L’esame delle “cartacce” elettorali, già vagliate dagli uffici elettorali provinciali, dovrebbe cominciare in appello domani o mercoledì.
Questa storia è grave e senza precedenti. Lo è in sè e per sè, perchè produrre una legge sbagliata e non funzionante in campo elettorale è il fondo del barile. La Regione non aveva (costosi) consulenti, esperti legali, consiglieri capaci di… consigliare i nostri legiferanti? Legiferava a vanvera, anzi … si legiferava sotto incontinente e pasticciona? Tutto ricorda alcuni degli scandalosi momenti della storia regionale, tipo non aver prodotto neppura una norma sulla ricostruzione posta-sismica, non aver mai ridotto davvero gli aurei compensi dei consiglieri, oppure aver restaurato spendendo montagne di denaro il palazzo accanto all’Emiciclo con la nuova aula consiliare, mai usata perchè inutilizzabile. Palazzo – tra l’altro – inagibile tra i primi, nonostante il faraonico restauro…
Questa sintesi dello sdegno dei cittadini allibiti di fronte alla storia dei risultati elettorali non è esagerata o infondata.
E’ stato l’elegante e mondano presidente uscito dal consiglio, Nazario Pagano (che non rivedremo all’Emiciclo) a dire candidamente in tv che la legge è sbagliata, che la Regione prese un granchio e che avrebbe dovuto farla ben diversamente. Un soprassalto di lealtà , ma anche un atto di autoaccusa. Dov’era Pagano quando la legge veniva discussa e poi approvata? Non era lui il presidente? Non presiedeva quelle sedute? Non era magna pars nei vertici decisionali del suo partito, che allora apriva e chiudeva ogni danza?
Ora siamo nel fango (parola moderata, in verità saremmo in ben diversa ambientazione… dantesca) e ancora una volta, paghiamo in moneta umiliante: quella del ridicolo agli occhi dell’Italia. Ci costringono a far ridere tutti. Siamo stanchi.
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