La zona rossa? Silenzi, ombre, desolazione
L’Aquila – GALLERIA DI FOTO DI ‘INABRUZZO.COM’ DEDICATE AL CENTRO E ALLA SUA INCANCELLABILE MALINCONIA – (di G.Col.) – La zona rossa, cinque anni e un mese dopo. Solo camminandoci, inoltrandosi nei vicoli, nelle strade un tempo intasate di auto in sosta selvaggia permanente in barba alle isole pedonali, ci si rende conto del disastro che nonostante decine e decine di gru e cantieri, ferisce sempre profondamente. La vegetazione si sta riappropriando dell’abitato, l’uomo se n’è andato: è presente solo con elmetti bianchi e gialli, tute da operaio, macchine movimento terra, cigolii di svettanti di mostri d’acciaio che spostano cemento, ferro, acqua. Da cinque anni, la morte è padrona, “sotto” e anche “bevo quando me tè sete”, i rituali vagamente crudeli del (dimenticato?) gioco della passatella.
Lasciamo parlare la fotocamera. Parole, commenti, rievocazioni, piagnistei: sarebbero solo retorica. L’Aquila, zona rossa, era ed è triturata, frantumata, sbriciolata. Sta rinascendo qua e là . Rinascerà , forse, domani. Con fatica, lentezza, tanto tempo e soldi. Oggi annega silenziosa in una invincibile malinconia, nella quale si inzuppano talvolta cocenti ricordi, visi di persone, momenti di vita, incontri sbiaditi, porte varcate chi sa quando e chi sa perché. Una perdita sono, ad esempio, i soffitti istoriati e decorati nei saloni di alcuni palazzi, che si vedevano dalla strada. I palazzi sono muti, vuoti, inchiodati al ferro e al legno, abitati da ombre dissolte. Quel lusso barocco, quest’ostentazione di benessere e di ori zecchini, velluti e arazzi, cristalli e tendaggi, è finita in polvere in una democratica, selvaggia potatura. Oggi tutto è rotto allo stesso modo, il male è venuto, cieco e feroce, accompagnato da cupi boati emersi dal cuore malato della terra.
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