Ora che la ricreazione è proprio finita…
L’Aquila – Franco Taccia si invia questi suoi ricordi aquilani: “Abitavo in via della Genca e, attaversata via Garibaldi, scendendo per via Paganica, dopo aver costeggiato palazzo Margherita, all’epoca sede del Tribunale, sbucavo nella piazzetta dei Gesuiti.
Tutti i santi giorni, alle 9 in punto la campanella suonava e le lezioni cominciavano, per terminare alle 13 (all’una, “per gli amici” ).
Erano le lezioni delle elementari del Collegio d’Abruzzo, dei Padri Gesuiti, dove ero stato iscritto in quanto, essendo nato a maggio, avrei avuto la possibilità di “andare un anno avanti” , una sorta di “anno legale” appunto per guadagnare tempo (abbondantemente rimangiato cammin facendo…).
Ora devo dire due cose: la prima è che ricordo gli anni delle elementari come uno dei più felici della mia esistenza e la seconda è che uno dei motivi di tanta felicità era la pausa per la “ricreazione”.
Descrivere in poche righe la gioia, il senso di liberazione, la soddisfazione che tutti provavamo in quel quarto d’ora sarebbe impossibile ma ci provo.
Intanto, di fronte alle aule c’era il cortile, enorme sopratutto agli occhi di fanciulletti, nel quale erano di fatto realizzati tre, se non ricordo male, campi di calcio, ridotti ovviamente nelle dimensioni, ma tutti forniti delle “porte” per giunta con pali e traverse, costituiti da tubi metallici, perfettamente cilindrici o meglio tondi come si usa dire.
E si, perchè all’epoca le porte del calcio, quelle vere del calcio vero, erano con pali e traverse forniti di quattro meravigliosi spigoli, sui quali quotidianamente qualcuno, anche fra i professionisti, otteneva punti in quantità , anche se non utilizzabili in classifica, ma solo cuciti sulla fronte.
E i più, io per primo, tecnica zero ma passione a mille, ci scatenavamo senza tregua appresso a qualcosa che a volte con una palla aveva solo vaga somiglianza.
Ma c’era una magia in quella ricreazione, perchè, questo l’abbiamo percepito ormai adulti, quel quarto d’ora sicuramente durava molto di più. Il tempo insomma, per permettere a tutti, dopo il gioco, di scendere come un’orda famelica verso il piano adibito a refettorio per i convittori dove le brave suore, addette alla cucina avevano approntato una sorta di piccolo posto di ristoro. Panini all’olio imbottiti con salame “ungherese”, e sopratutto, le tavolette di surrogato di cioccolato, buonissime dentro e divertenti fuori perchè la cartina che costituiva l’involucro esterno era illustrata con le foto dei calciatori dell’epoca.
E poi, poi, Amelio, il mitico bidello, suonava la campanella della fine della pausa e fino alle tredici si ricominciava, sudati, con i colletti e il fiocco deformati, i grembiuli neri macchiati e con le tasche regolarmente strappate, chini sui quaderni, con il calamaio a portata di pennino. Ma col sapore della tavoletta di surrogato che ci accompagnava fino a casa.
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