San Pietro alla Jenca, il luogo di Karol
L’Aquila – (di G.Col.) – Prima delle visite del papa, negli anni Duemila e prima, la chiesina di San Pietro alla Jenca era un posto sperduto, in mezzo ad una montagna piuttosto brulla e povera di alberi, sepolto nel silenzio e spazzato dal vento. Attorno cespugli, rovi, bacche, ginepro, avellana, qualche smunto pino, sassi grigi, erba gialla da maggio in poi, fontanili circondati dal fango e dallo sterco di vacca. I rumori erano quelli dei campanacci delle mucche al pascolo. Scenario, il Gran Sasso che nel versante aquilano non è molto verde. Imponente, alto, un muraglione lungo decine di chilometri.
I camminatori e gli escursionisti arrivavano lassù in auto (a piedi da Collebrincioni) lungo la strada per la località detta Il Vasto, lasciavano l’auto all’ombra e salivano a piedi verso San Franco o altre cime della catena. La sorgente di San Franco, acqua terapeutica nella tradizione popolare, era un luogo di fede e di preghiera già da secoli. Un’altra cima da molti raggiunta in escursione è il Monte Jenca, oltre 2.200 metri. Jenca significa giumenta. A L’Aquila ci sono una via della Genca e una piazzetta della Genca.
La chiesa di San Pietro della Ienca a 1.150 metri di altitudine, dal 2011 santuario bazzicato da migliaia di credenti, pellegrini, fedeli o curiosi, si erge a monte di uno sparuto gruppo di case pastorali. Molte sono state abbandonate, altre acquistate per essere riadattate. La chiesina, di pietra, molto semplice, risale forse al 1300, in stile romanico. Ha un piccolo campanile al quale nel 2008 fu donata una campana dall’Arcivescovo Metropolita di Cracovia e già segretario particolare del Papa Cardinale Stanislaw Dziwisz.
Il luogo è di culto dal Medio Evo (San Pietro della Jenca o del Guasto, oggi Vasto) e fu forse riedificato a metà del 1500. L’ambiente all’interno presenta volta a botte, pietre a vista. Nel 2005, alla morte del papa, dopo anni di silenzio e di stupore per le continue visite di Wojtyla (prima negate, poi per forza ammesse anche dal Vaticano) vi fu l’intitolazione della cima ex Gendarme (m.2424) a Papa Giovanni Paolo II. A sfidare il vento fortissimo e le bufere, lassù, fu eretta una croce. Un sentiero che richiede due-tre ore di cammino porta da San Pietro alla vetta ex Gendarme.
Il santuario della Jenca del Beato Giovanni Paolo II (che ora diventa santo, viene canonizzato) è stato elevato a “Chiesa sub umbra Petri“, cioè chiesa particolarmente legata alla basilica di San Pietro, quella importante in Vaticano. Vi si può, tra l’altro, ottenere l’indulgenza plenaria. Arrivare a San Pietro della Jenca è facile, una volta capito dove uscire percorrendo l’autostrada da Roma o da Teramo. Sulla A-24 sono stati installati, da poco tempo, due cartelloni che avvertono della presenza del Santuario, ma non dicono da quale casello uscire per giungervi. Un problema di quelli stupidi e banali, che una burocrazia ancora più stupida e banale non ha saputo superare e risolvere. Sarebbe bastato aggiungere un’indicazione: “uscita Assergi”. Nessuno è stato in grado di capirlo e tanto meno di farlo.
Esistono altri problemi di viabilità durante l’inverno, e di apertura e chiusura della chiesetta. Contrasti e stridori tra burocrazie, inclusa quella pesante e massiccia della Chiesa, visto che l’afflusso di pellegrini è enorme. Qualcuno ha annusato la smisurata potenzialità della situazione, e si intromette?
Giovanni Paolo II, l’uomo speciale che seduto su un sasso nel praticello selvatico davanti alla chiesina, molti anni fa, consumava un panino con un sorso di vino, passeggiava, meditava, si ossigenava guardando il profilo del Gran Sasso, sorriderebbe. Oggi che la Chiesa lo dichiara santo (per migliaia di persone lo era da sempre, ricordate “santo subito”?) e stando alla fede e alla religione, Wojtyla è in Paradiso. Ma, dice chi lo ama e ne percepisce l’eccezionalità , aveva bisogno di un viatico per entrarci? O delle astruse e macchinose procedure ecclesiali?
Chi vuole, può aspettare che le folle si dissolvano, che la inevitabile calca sparisca, e recarsi a San Pietro, non perché sia oggi Santuario. Perché è un luogo di quelli che, inspiegabilmente, parlano alla mente umana, sussurrano senza parole. Inutile tentare di capire. Meglio assaporare qualche attimo di liberazione totale da idee, convinzioni, pregiudizi, dogmi assurdi, diktat fideistici, regole e nozioni. Oggi anche la scienza più avanzata, quella che apre spiragli sulla “mente di Dio” tra quanti e realtà non percepibili, ammette che c’è più mistero che consapevolezza in ciò che è, o sembra essere. E che forse è altro, chi sa dove.
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