Adriatico e trivelle, non ne usciremo mai?
L’Aquila – (di G.Col.) – Il presidente Chiodi ribadisce: niente trivelle in Adriatico. Alcuni sindaci adriatici si dicono lieti che il TAR abbia fermato, al momento, i progetti della Mediterranean Oil and Gas, familiarmente nota come Medoilgas. La quale affila sue armi, fa sapere che seguirà altre strade e che il suo progetto (noto come Ombrina) è sicuro.
Altre voci qua e là echeggiano. L’ambientalismo antitrivelle, per il momento, si stropiccia le mani. Come scenario, resta l’indubitabile realtà del nostro bisogno di energia, in Abruzzo e fuori dall’Abruzzo, e c’è chi diffonde foto di grifoni colpiti dalle pale eoliche. Neppure quelle, infatti, sono accettate come fonte energetica.
Il dovere di cronaca non può omettere altri aspetti, ben più inquietanti. In Emilia Romagna si pensa – sulla base di un solido rapporto scientifico – che l’estrazione dal sottosuolo non sia estranea alle manifestazioni sismiche. Non esiste prova certa di correlazione, viene detto a chiare note, ma neppure la prova contraria. Non è provato che svuotare il sottosuolo e poi riempirlo artificialmente perché stia in piedi possa influire sulla naturale evoluzione delle faglie. Ma a Mirandola, in Emilia, dove nel 2012 c’è stato un forte terremoto in più fasi successive, stavano estraendo. Quando le faglie – seguendo un processo naturale – caricano energia contrastandosi e premendo una contro l’altra, manipolare il sottosuolo causa conseguenze? Accelera rilasci violenti di energia?
In USA, dove si adopera a piene mani il sistema di estrazione detto fracking, molti pensano che i terremoti derivino da questo tipo di intervento umano. Da noi non si usa, almeno in Adriatico, il fracking, ma chi può dire con totale certezza che le trivellazioni siano estranee alle tante manifestazioni sismiche sui fondali? L’Adriatico, è bene ricordarlo agli immemori, è sismico.
Come si vede, il groviglio dei problemi, degli interrogativi, delle opinioni, magari anche dai fanatismi ambientalistici che talora sono indubitabili, è davvero impressionante. Al momento nessuno è in grado di dire una parola ferma e definitiva. Gli interessi economici in ballo sono enormi, i permessi rilasciati in passato spesso ci sono e valgono, le normative sono talmente confuse e complicate da scoraggiare chiunque desideri chiarezza. Senza violare diritti acquisiti, ma senza neppure arrecare danni irreparabili. Del resto, è davvero ridicolo che in una regione, come l’Abruzzo, in cui si farfuglia da anni di protezioni, parchi costieri, riserve marittime, progetti turistici di salvaguardia, si pensi a nuove trivellazioni. Diciamo nuove, perché va ricordato che numerose – iniziate negli anni scorsi – sono attive da anni e vanno avanti tranquillamente. Per chiudere, va tenuto presente che in settimane pre-elettorali (a maggio si vota) molti si danno da fare per costruirsi una verginità ambientale. La politica, in queste circostanze, mostra il suo volto peggiore. Sempre che ne abbia uno migliore…
Nello scenario descritto, gli abruzzesi possono solo domandarsi se ne usciranno mai, e a che prezzo. Mentre, come tutti hanno appreso, il disastro di Bussi incombe sulla regione come un nuvolone nero venato di scariche elettriche. Ci sarebbe solo da ricordare che nei decenni, da regione che produceva energia e la esportava, l’Abruzzo è diventato una immensa pattumiera che deve difendersi da trivellatori e altri turpi satiri capaci di insidiare verginelle implumi. Almeno così la vedono i difensori ad oltranza dell’ambiente terrestre e marino. I quali, però, alla domanda: “Va bene, ma dove prenderemo l’energia?” non rispondono mai.
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