Gli auguri fraterni ad un vescovo amico
L’Aquila – (di GIUSEPPE PETROCCHI, vescovo dell’Aquila) – (Foto: Petrocchi e D’Ercole) – La nomina di mons. D’Ercole a vescovo di Ascoli Piceno (città da cui provengo) mi ha dato – al tempo stesso – una grande gioia, ma anche intima tristezza. Gioia perché questo carissimo amico trova un ambito ministeriale in cui – da vescovo titolare – potrà spargere, a piene mani e con totale libertà, il buon seme del Vangelo, valorizzando le buone qualità spirituali e umane di cui il Signore lo ha dotato. Tristezza, perché, almeno in campo operativo, perdo un prezioso Collaboratore, con cui ho fraternamente condiviso il mio primo tratto di episcopato in terra aquilana.
Già dalla fase “preliminare” al mio ingresso, mons. D’Ercole si è mostrato sollecito interlocutore, pronto a rispondere, con competenza, alla mia richiesta di avere elementi di valutazione sul contesto ecclesiale e sociale che avrei trovato. Mi ha aiutato, così, a tratteggiare un primo quadro della situazione della Diocesi e della Comunità civile de l’Aquila, con i gravi problemi e le grandi risorse che la caratterizzano.
Abitava in una casa, alla periferia della Città; ma lui stesso, conoscendo le fratture (spirituali e sociali) provocate dal sisma, mi ha proposto di condividere l’abitazione, nella attuale “residenza arcivescovile”, dando così un visibile e forte segno di coesione e di concordia pastorale. Ho accolto subito e con gioia questa ipotesi: così, l’abbiamo rapidamente realizzata, nonostante la ristrettezza degli spazi.
La vita in comune, in questi mesi, si è rivelata armoniosa nella dimensione interpersonale, ricca sul piano spirituale e pastoralmente efficace. Abbiamo impostato un rapporto basato sulla “verità dialogata” e “a tutto campo”; sulla carità reciproca, vissuta come anima di ogni apostolato; e sulla condivisa tensione a servire, con tutto il cuore, la Chiesa in cui la Provvidenza ci ha inviato. Sono sempre stati chiari – e rispettati da entrambi – i ruoli specifici e i compiti propri di ciascuno. In questa “interazione”, posso attestare che mons. D’Ercole si è rivelato un uomo di comunione e di autentica sensibilità ecclesiale.
Mi sembra che, nella sua esperienza di religioso (è membro della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Congregazione fondata da don Orione) e attraverso il suo tragitto ministeriale, abbia maturato una fattiva prossimità agli ultimi e una convinta missionarietà, specie verso le “periferie esistenziali” della nostra epoca. Si è mostrato un pastore capace di raggiungere il cuore della gente: infatti, possiede doti di intuizione che gli consentono di intercettare i bisogni profondi delle persone, dimostrando pure coinvolgenti capacità di “empatia” – spirituale e psicologica – che lo rendono aperto e “vicino”, specie nei confronti degli emarginati e di quelli che soffrono (l’ho visto spesso commuoversi quando mi raccontava i suoi incontri con persone duramente colpite da eventi dolorosi).
Essendo un efficace ed esperto comunicatore, riesce a farsi capire ed amare, sia in ambito ecclesiale che sociale. Padroneggia bene il linguaggio dei media ed è in grado di muoversi con abilità collaudata nel settore dei socialnetwork, che – come noto – rappresenta oggi una dimensione costitutiva della civiltà in cui viviamo. Sa interagire anche con gli ambienti culturali e professionali più accreditati.
E’ sobrio nelle abitudini ed essenziale nello stile di vita. Si adatta, perciò, facilmente anche a condizioni precarie e disagiate. Tale frugalità gli viene (oltre che da convinzioni teologiche) dalla sua lunga “militanza” di “orionino” nelle varie “frontiere” della povertà.
È stato, per otto anni, missionario in Africa: ciò gli conferisce una solida conoscenza (e non solo per sentito dire!) delle mentalità, dei problemi e delle aspirazioni delle popolazioni che abitano il terzo e quarto mondo. Ritengo, inoltre, che il lungo periodo di servizio presso la Segreteria di Stato, in Vaticano, gli sia stato molto utile per maturare categorie di pensiero universali e lo abbia attrezzato a muoversi con competenza in dinamiche ecclesiali “complesse”, in particolare in quelle attivate dal confronto con le sfide della post-modernità.
In questo periodo, in cui abbiamo fatto esperienza di vita comune, l’ho apprezzato come uomo di preghiera e di convinta spiritualità. Ho notato che ama la Chiesa con passione evangelica e si muove con piena fedeltà al Papa, con il Quale è interamente “sintonico” in ordine alle idee, agli orizzonti pastorali e ai moduli di azione.
Come mio collaboratore, si è rivelato un buon “alleato”, poiché (nella esperienza di “collegialità” concreta e di sinergico “discernimento comunitario”) si è posto come un “tu- apostolico” serio e affidabile. Insieme abbiamo cercato di testimoniare l’unità di intenti e la convergenza di sentimenti del “noi- episcopale” che abbiamo cercato di costruire.
Anche lui, come ogni altro uomo che cammina nella storia, nel suo profilo di personalità, insieme alle zone altamente positive, evidenzia spazi di limite, che – tuttavia – presentano il vantaggio di essere chiaramente identificabili, perché resi visibili da una disarmata sincerità e da una schiettezza che rifugge da ipocrite contraffazioni. Reputo che mons. D’Ercole, come ogni vero seguace del Signore, abbia consapevolezza dei suoi pregi come anche dei suoi “coni d’ombra” e sia attivamente impegnato nel cammino di perfezione, teso a moltiplicare i “talenti” ricevuti e a neutralizzare gli aspetti difettuali, per diventare, sempre di più e sempre meglio, autentica “ripresentazione sacramentale” di Gesù, buon Pastore.
Nel tempo trascorso a L’Aquila, ha raccolto abbondanti soddisfazioni pastorali e si è guadagnata la sincera simpatia della gente, tuttavia ha pure sofferto molto: ma ha patito “bene”, cioè da vero discepolo del Signore. Per questo la croce che ha abbracciato, ha portato abbondanti frutti evangelici nella sua vita sacerdotale e per la gente per cui si è speso con esemplare dedizione. Non ho mai avvertito in lui atteggiamenti risentiti o tracce di “reattività” acerba nel raccontare la storia dolorosa in cui è passato: anzi, mi ha detto che ringraziava la Provvidenza per questa dura prova che lo aveva aiutato a crescere nella libertà e nell’amore verso Dio e verso tutti: nessuno escluso.
Ritengo che molte delle tribolazioni che lo hanno gravato siano da ricondurre alle gravi emergenze provocate dal terremoto, come anche alle turbolenze che hanno accompagnato il primo periodo del riassetto post-sismico. Il complicato contesto ecclesiale e sociale, le urgenze pressanti e drammatiche alle quali ha dovuto rispondere, la precarietà degli strumenti a disposizione hanno – a mio avviso – condizionato e limitato il suo profilo operativo e le possibilità di costruire intese, come avrebbe desiderato. Si sa, inoltre, che sul campo della “massima allerta” – come la storia, anche ecclesiastica, insegna – è facile che spuntino incomprensioni: anche tra persone brave e motivate da sante intenzioni.
Mi rallegro “con” e “per” la mia amatissima Ascoli, perché so che la Provvidenza – attraverso Papa Francesco – le ha fatto un dono di grande valore.
Affido mons. D’Ercole a Maria, Madre e Modello della Chiesa: sia l’umile Vergine di Nazaret a guidare ogni pensiero e tutti i gesti di questo suo figlio, che a Lei si affida con illimitata confidenza. Da parte mia e di tutta la Chiesa aquilana, insieme al grazie commosso e alla promessa dell’assidua preghiera, esprimo gli auguri affettuosi di un apostolato ricco di grazie e di benedizioni.
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