Ritrovare un’anima per ricostruire
L’Aquila – Riprendiamo una delle parti più significative del messaggio del vescovo Pedrocchi, diffuso ieri, sul quinto anniversario: “La ricostruzione, per essere vera ed efficace, non può contare solo su logiche ingegneristiche ed efficienze tecnico-finanziarie: ha bisogno, prima di tutto, di ritrovare un’anima, munita di intelligenza “profetica” (che sa ideare l’avvenire valorizzando l’esperienza del passato) e dotata di cuore che pulsa amore, spirituale e civile (idoneo a creare coesione sociale e cittadinanza attiva).
Non basta dire “L’Aquila non morirà”, e neppure limitarsi ad affermare che rivivrà “così com’era”. Bisogna mirare ad un progetto molto più grande, annunciando che L’Aquila “risorgerà”, più forte e più bella di prima. Ma per ridare a L’Aquila il suo volto splendido e accogliente si richiede la costruzione di un “Noi allargato”, che pensa al plurale e si protende, con tenacia, verso il bene comune.
Va dato atto, ai vari Soggetti istituzionali, che molto è stato fatto e che tanta passione è stata profusa nella fase dell’emergenza e nell’opera della prima ricostruzione. Il “sentimento adeguato”, perciò, – in risposta alle realizzazioni positive e riuscite – deve essere quello di una convinta “ri-conoscenza”, intesa come “gratitudine onesta”, che sa vedere i meriti effettivi ed è pronta a ricambiare il bene ricevuto.
Non mancano motivi di denuncia, di protesta, di delusione e di sofferenza, che vanno però gestiti con maturità etica e democratica, perché, se non convogliati correttamente, questi attriti possono alzare il tasso di conflittualità e di pretesa, abbassando – in proporzione inversa – la soglia di tolleranza e la volontà di partecipazione.
Nel promuovere le istanze ritenute giuste o per correggere aspetti considerati deficitari o sbagliati, bisogna percorrere le vie del dialogo a tutto campo, nel confronto sincero, ponderato e rispettoso. Occorre perciò immunizzarsi dalle tossine – pericolose e virulente – di una “cultura dell’urlo e del randello”, che ha origini ataviche, ma che contagia larghi strati della nostra epoca e continua ad aggirarsi, rabbiosamente, nei sotterranei della psiche: collettiva e individuale. Si tratta di forme minacciose e aggressive che – rispetto al passato ancestrale – cambiano moduli espressivi e strumenti di attacco (oggi privilegiano spesso, come strumenti di offesa, i mezzi di comunicazione sociale). Tuttavia, pur adottando sofisticate “cosmesi culturali”, esse mantengono la loro fisionomia graffiante ed ostile. Le opinioni non risultano più valide perché gridate: la verità di una affermazione non è proporzionale al volume della voce di chi la dice, ma alla oggettiva e documentabile rispondenza ai fatti. La cancrena della disinformazione e della diffamazione deve essere accuratamente evitata e combattuta: ogni notizia, infatti, va criticamente pensata e adeguatamente accertata prima di essere diffusa, altrimenti ammorba l’ “ambiente cognitivo” e rovina i “polmoni psichici”, specialmente delle nuove generazioni.
Riaprire le chiese: parte integrante della identità aquilana
La ricostruzione di L’Aquila deve garantire la rapida e fattiva riedificazione delle abitazioni civili, per consentire alla popolazione di ritornare presto a casa, ma anche – e in modo sincronico – deve puntare al restauro delle chiese, che – insieme ai palazzi e ai monumenti di grande pregio architettonico e urbanistico – rappresentano un tesoro spirituale, artistico e storico. Esse costituiscono un fondamentale fattore “identitario” dell’“aquilanità”, che consente alla Città di rimanere se stessa e diventare – di più e sempre meglio – un polo turistico importante nel panorama regionale e nazionale. Inoltre, questi luoghi di culto e di incontro assolvono anche al fondamentale e insostituibile compito di essere “spazi-di-prossimità”, sul versante ecclesiale e sociale. Per questo ho ripetutamente invitato le Autorità pubbliche ad accelerare al massimo il processo di recupero degli edifici sacri, per impedire che la perdurante “apnea aggregativa”, da cui siamo afflitti, finisca per provocare “asfissie comunitarie”, con pesanti ricadute non solo sul piano ecclesiale, ma anche nell’ambito civile e culturale.
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