SESTO APRILE DELLA SECONDA VITA


L’Aquila – (di G.Col.) – COSA ABBIAMO E COSA NON ABBIAMO DOPO 5 ANNI – Pazienza: ne abbiamo e ne abbiamo avuta tanta. 1800 giorni di pazienza, attesa, paura, smarrimento. E speranza. Abbiamo cantieri a centinaia, non tutti attivi; un mare di quattrini spesi e un mare da spendere. Ma non abbiamo ancora la certezza di quando e come i quattrini arriveranno. Manca il meccanismo certo della spesa, la pianificazione, sappiamo solo che forse ce ne saranno per tutto il 2014.
Non abbiamo la Banca dell’Aquila, che neppure nel 2013 è nata. Non abbiamo più la Carispaq, la banca degli aquilani. Umana e trattabile. Abbiamo la BPER, che taglia, toglie, tergiversa e pensa agli aquilani come bisognosi indigeni da pochi centesimi di interesse. Neppure sempre versati… Ma forse non pensa che i clienti si possono perdere.
Non abbiamo una legge per la ricostruzione, perché la Regione non ha voluto farne una. Stanno andando a casa e alcuni stanno anche riproponendosi come candidati. Ma la legge non l’hanno fatta.
Abbiamo un papa argentino che parla aquilano. Però non avremo Renzi nel quinto anniversario (celebrazioni e rievocazioni in abbondanza). Avremo un delegato alla ricostruzione, Giovanni Legnini. Non abbiamo scuole adeguate, perché le baracche che le ospitano da cinque anni stanno deteriorandosi. Abbiamo un premier che visita l’Italia occupandosi di scuole, ma a L’Aquila non è, per il momento, non s’è visto.
Abbiamo 14.000 persone assistite da 1800 giorni. Abbiamo molti disoccupati locali, ma molti stranieri impiegati nell’edilizia. Però una grande azienda edilizia, la Edimo, dice di essere in crisi. E un cementificio, il SACCI, che pare sia in affanno. Che strana situazione. Abbiamo un commercio e un artigianato in pesanti difficoltà, ma non abbiamo razionali piani di sostegno a tali attività produttive.
Abbiamo grandi progetti (tipo parco delle acque, ripristino degli assi principali del centro storico, piani per sottoservizi da smart city e sogni per risanare e rinnovare la città come alla Fontana Luminosa), ma abbiamo nel frattempo anche 4.300 aquilani che se ne sono andati altrove. Abbiamo una quantità industriale di rotatorie stradali, ma i lavori per lo svincolo di Bazzano vanno avanti a velocità di lumacone stanco. Abbiamo una collezione di annunci di grandi lavori stradali, a cominciare dalla superstrada per Montereale (definirla per Amatrice, ormai, è esagerato), che però non cominciano mai. Chi sa quando si parlerà ancora del raddoppio della 17 tra Bazzano e S.Pio delle Camere.
Forse mai più. Ci accontenteremo del raddoppietto che hanno fatto e piantato lì.
Abbiamo un luminoso esempio di nulla moltiplicato nulla per il recupero di Porta Barete. Si percepisce odore di aquilanata. Come ai vecchi tempi. Nell’altra vita.
Abbiamo anche una città in cui in tanti, purtroppo, dicono che si vive male. Una città come una ciambellona (non dolce): un gran buco in mezzo e il resto intorno, in 19 new town. In quel buco, c’è L’Aquila che fu. Un’implosione su se stessa, in una sequenza numerica che nessuno, ma proprio nessuno, ha dimenticato: 6.4.2009 – 3,32 – 5,8 Richter. Quando arrivò quel terremoto che, secondo possenti geni della mistificazione, era preceduto da scosse che “scaricavano l’energia”. Una di quelle fesserie stratosferiche che oggi la scienza smentisce. Non poteva farlo prima? O non sapeva che pesci prendere?
Per poter dire che una certa quantità di energia di scarica, si esaurisce, bisognerebbe conoscerne la quantità iniziale. Le possenti scosse che hanno squassato il Cile in questi giorni erano “scarichi, esaurimenti di energia”? Dopo la prima (8,2 Richter) la gente doveva andare a letto tranquilla?
Non c’è bisogno di titoli accademici per capirlo. E’ come quando si disquisiva sui terremoti: sono prevedibili? No. E allora non si può né dire che ci saranno, né che non ci saranno. Non c’è bisogno di macerarci ancora su queste cose. Abbiamo già dato.
Dobbiamo solo una lacrima per i 309 morti. Ma anche per i tanti venuti dopo, magari solo dentro i loro cuori e i loro cervelli. Si piò essere morti e camminare, tentare una vita, spesso senza riuscirci. Magari con delle fiaccole, nello strenuo sforzo di far luce sul domani. Magari il domani di altri, se non più il nostro.
Ma, come si dice ad ogni 6 aprile (e ormai sono parecchi), abbiamo il dovere di andare avanti.


03 Aprile 2014

Categoria : Cronaca
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