Bell’Italia di scioperi e disoccupazione
L’Aquila – (di Carlo Di Stanislao) – Eutelia a Roma, Alcoa in Sardegna e poi ancora la Fiat di Termini Imerese e lo stabilimento a S. Margherita, con operai saliti sul tetto per protesta. Ed aumenta il numero di scuole occupate (ma meglio sarebbe dire assediate), con studenti in assemblea permanente fuori e professori a difendere il fortino chiusi dentro, che invocano il cinque in condotto ed affermano che l’unico motivo della mobilizzazione e la scarsa voglia di studiare. Il Governo rassicura e si sbraccia, ma il Pil decresce, cresce la disoccupazione e la sfiducia dei giovani nella formazione. Gli studenti medi e universitari italiani sono tornati in piazza, organizzando cortei nelle principali città italiane il 17 scorso, in occasione della giornata mondiale per il diritto allo studio. Secondo i dati forniti dalle associazioni studentesche, almeno 150 mila studenti stanno manifestando in tutta Italia: 10mila a Roma, 15mila a Torino e poi ancora a Napoli, Bari, Firenze, Milano. La Rete degli studenti medi avverte: “E’ solo l’inizio di percorso di mobilitazione sul diritto allo studio, che ci vedrà impegnati a promuovere autogestioni e occupazioni per tutto il mese”. L’emergenza diritto allo studio, spiegano, “è troppo forte e la riforma della secondaria sta passando sotto silenzio: gli studenti il prossimo hanno si troveranno meno ore di scuole e più difficoltà per raggiungere il successo formativo, questo non è accettabile”. Tra le prossime tappe c’è il 28 novembre: una giornata per il diritto allo studio nel Mezzogiorno, in cui la protesta toccherà tutte le Regioni del Sud, in particolare Puglia e Sicilia. L’Unione degli universitari, a sua volta, attacca direttamente la politica dell’esecutivo: si va in piazza “contro il ddl del governo – spiega -, e per chiedere maggiori politiche per il diritto allo studio. Quest’anno il 17 novembre sarà caratterizzato dalla forte contrarietà alla privatizzazione dell’università pubblica e del diritto allo studio, avendo come slogan: ‘Education is not for sale’”. Gli studenti ribadiscono le loro richieste: per le scuole medie e superiori “un’istruzione gratuita e di qualità”, garantita da governo ed enti locali, un piano nazionale per il diritto allo studio con particolare attenzione alle aree colpite dalla crisi. Il 14 novembre scorso, la polizia è intervenuta a Milano per sgomberare il Gandhi e gli studenti hanno sfilato per le vie del centro. Gli studenti del liceo civico serale Ghandi protestano perché il Comune, in nome del risparmio, si rifiuta di applicare la sentenza del Tar che prevede la riapertura della scuola, chiusa dallo scorso settembre. La protesta degli studenti, che al momento si trovano senza un istituto dove potere studiare, ha ricevuto la solidarietà di molti esponenti del mondo della cultura cittadina, fra cui Dario Fo e il ballerino Roberto Bolle, ex studente dell’istituto serale ora soppresso per effetto del decreto Gelmini. Le cifre parlano chiaro, di là dalle virtuali promesse e rassicurazioni del governo. Il Documento di Programmazione Economico-Finanziaria per il quinquennio 2009-2013, ha delineato uno schema di risparmio finanziario di 7.832 milioni di euro nel settore dell’istruzione tradottosi, solo nel corrente anno scolastico e in forza della legge finanziaria per il 2009 (legge del 22 dicembre 2008, n. 203), nella riduzione di 42.103 posti per i docenti e di 15.167 posti per il personale A.T.A e nella disoccupazione di 26000 precari privati della possibilità di rinnovo contrattuale. Tale assetto produrrà, inoltre, la decurtazione di ulteriori 45.236 unità per l’organico docente e di 29.334 unità per il personale A.T.A., profilandosi, in tal guisa, un futuro incerto per circa 340.000 precari del comparto scuola. Tutto questo ha già comportato, come era inevitabile, l’aumento del numero di alunni per classe, con il conseguente innalzamento del rapporto alunni/docente (incrementato di un punto percentuale da 8,9 a 9,9) in palese violazione delle norme sulla sicurezza nelle classi con più di 25 alunni (L. n. 820 del 1971; D.M. 26.08.1992, n. 292; D. Lgs. 9/4/2008, n. 81), la soppressione delle cattedre, la razionalizzazione e accorpamento delle classi di concorso in tutti gli ordini e gradi di istruzione e, in particolare, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di II grado. In questo modo appare del tutto evidente che l’attuale governo ha in primo luogo mirato a dare deliberatamente della scuola pubblica un’immagine negativa, dipingendola come sprecona e inefficiente, e a screditare, quando non demonizzare, sistematicamente i suoi lavoratori, presentati come fannulloni, assenteisti, in parcheggio, in sovrannumero rispetto ai bisogni e, dall’altra, a dar vita ad un’azione legislativa motivata esclusivamente da ragioni economiche che ha portato a tagli indiscriminati degli investimenti per la scuola (otto miliardi di euro) e del personale (140.000 lavoratori in tre anni). Tagli che hanno di fatto reso ‘disoccupati’ con un colpo di spugna, già da quest’anno, quarantamila lavoratori e hanno creato caos e disagio agli studenti e alle famiglie: nelle Superiori, ad esempio, il venir meno delle ore ‘a disposizione’ ha fatto esplodere il problema delle sostituzioni dei docenti assenti, violando di fatto il diritto allo studio e creando problemi di sicurezza e controllo, questo nonostante gli sforzi organizzativi delle Dirigenze e la disponibilità dei docenti alla flessibilità. Replica la ministra Gelmini che vi è stata una strumentalizzazione (ti pareva!) dei Centri sociali i quali “non rappresentano gli studenti italiani, che invece hanno capito che bisogna avere il coraggio di guardare al futuro, di cambiare la nostra scuola, di fare scelte coraggiose. Riproporre vecchi slogan, come se fossimo ancora negli anni ’70 – afferma – certamente non contribuisce a rendere la nostra scuola più moderna”. E qui è il vulnus: secondo la Ministra con tagli e riduzione di ore e personale ci si prepara meglio al lavoro, forse perché, come si vede, l’uunico lavoro possibile per i giovani di oggi è quello da disoccupati. E questo dati alla mano, di là dalle proiezioni fantasiose del governo. I dati Istat (che non sono taroccati né di parte), ci dicono che in Italia torna ad aumentare, dopo nove anni, il numero delle persone in cerca di occupazione, attestandosi a 1.692.000, 186.000 in più rispetto al 2007 (+12,3%). Nel 2008, si contano 23.405.000 occupati, 183.000 in più rispetto all’anno precedente (+0,8% in termini percentuali) e il tasso di disoccupazione sale al 6,7% dal 6,1% del 2007. Il tasso di occupazione, dopo la crescita registrata nel 2006 e nel 2007, rimane stabile al 58,7%, pur restando ben al di sotto del dato medio della Ue (65,9%); e, se quello maschile scende dal 70,7% al 70,3%, quello femminile aumenta dal 46,6% al 47,2%. Le proiezione per il 2009 sono ancora peggiori. E mentre Berlusconi ed i Berluscones cantano l’uscita dal tunnel della crisi, apprendiamo che la produzione è sceso del 3,1% e che la popolazione italiana, in generale, è del tutto insoddisfatta. La crisi non e’ passata per l’occupazione, i precari, i disoccupati, i pensionati e si profila un futuro ancora più cupo per i giovani. E in tutto questo si apprende che il governo ha iappena deciso di togliere il fondo di 800 milioni di euro per lo sviluppo della rete a banda larga, che avrebbe significato 50.000 posti di lavoro, affermando che la coperta della finanza pubblica è troppo corta. A Milano proprio recentemente in una tavola rotonda allo Iab Forum si discuteva sull’esistenza dei famosi 800 milioni destinati all’Internet veloce. Per contro da Roma è arrivata la certezza che quei soldi per il momento sono destinati ad altro e comunque non disponibili prima del 2011. Gianni Letta ha dichiarato che “I soldi non li abbiamo né dirottati, né sciupati ci siamo presi un momento di riflessione e di analisi in funzione della diversa scala di priorità che poteva nascere dalla crisi”. Senza voler richiamare che appena la scorsa estate il sottosegretario allo Sviluppo economico Paolo Romani dichiarava che l’esecutivo avrebbe stanziato quasi 1,5 miliardi su banda larga e divario digitale, fondi che avrebbero potuto portare ad un incremento del Pil di 2 miliardi di euro e che due settimane fa il ministro Brunetta annunciava che la prima tranche da 800 milioni era pronta ed aspettava solo il via libera del Cipe, e che entro il 2010 il 96% degli Italiani avrebbero avuto internet veloce a 2 Mega, ci siano almeno consentite due riflessioni: la crisi c’è, è in atto ed è profonda e questo governo, molto spesso, crea fondi “di riflessione” e virtuali, piuttosto che reali e di sussistenza, come nel caso del nostro terremoto: un vero “miracolo” non per quello che dice e mostra Tony Capuozzo, ma per la capacità, nonostante tutto, di farsi credere da quasi il 40% degli italiani e ringraziare (smielatamene) da aquilani convinti che ciò che è diritto di tutti, sia solo un regalo ad alcuni.
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