Veleni e silenzi, un’orrenda storia abruzzese


L’Aquila – (di G.Col.) – Evangelicamente ricordiamo “Oportet ut scandala eveniant“, inevitabile che gli scandali scoppino. Ma c’è un limite: quello abruzzese dell’acqua avvelenata che per anni migliaia, decine di migliaia di persone (compresi bambini e malati) hanno bevuto, è troppo enorme, spropositato, benché occorra convenire che finalmente è venuto alla luce.
L’Abruzzo sta facendo di tutto per battere tutti i record negativi, devastando la propria immagine agli occhi dell’Italia. Tenendo da parte terremoti e altre bibliche catastrofi. Sarà difficile, infatti, credere che molti sceglieranno la nostra regione per vacanze, iniziative, soggiorni, residenze. Tanto più che, notoriamente, i fiumi si gettano in mare, e che il Pescara ha quindi riversato in Adriatico i veleni per interi decenni. Molti veleni non spariscono, non vengono metabolizzati dal mare. Finiscono anche nelle pance dei pesci che mangiammo e mangiamo. Un disastro a catena, una sventura orribile da Sodoma e Gomorra.
LA PIOGGIA RETORICA – Ora, esplosa la vicenda con la divulgazione di un documento dell’Istituto di sanità che tutti i cittadini avrebbero dovuto conoscere non solo grazie ad un provvidenziale scoop giornalistico, arriva la pioggia. Quella della retorica, dei politici (che naturalmente non sapevano), dello scaricabarile ad oltranza, delle rampogne, delle rivendicazioni (“Io lo avevo detto…”). La retorica falsa e ipocrita di chi, annusato il cataclisma (che sarà anche giudiziario, c’è da sperare), tenta di schettinare (verbo derivato dal comportamento di Schettino, lasciare la nave che affonda…) tirandosi fuori dall’orrore, dalla marmellata venefica dei silenzi e delle omissioni, delle incapacità, delle “cover up” imposte chi sa da chi. Lasciamo stare la pioggia retorica, perché è una delle manifestazioni più penose del comportamento italiano. Del resto quando le massime autorità mettono le mani avanti e dicono che non sapevano, che non immaginavano, non rimane che piangere. O tentare di salvarsi i glutei, diciamo.
LE DOMANDE – Forse è conveniente, anche per la dignità abruzzese, porsi e porre delle domande, le stesse che con tutta verosimiglianza dei magistrati formuleranno. La Procura di Pescara, infatti, ha drizzato le orecchie.
Oggi ACA, Chiodi, sindaci e altri come in un coretto di voci bianche sproloquiano: l’acqua che si beve in Val Pescara è sicura. E’ monitorata. Scoperta la discarica dei veleni a Bussi nel 2007, e chiusi i famosi pozzi, comincia il monitoraggio. Ma prima? I veleni sotterrati a Bussi sono 250.000 tonnellate. Per anni, fin dal decennio ’70 o anche prima. La Montedison scaricava a tutto spiano. Sia spiegato agli abruzzesi perché dai monitoraggi dell’acqua “prima” del 2007, non emerse nulla. Nessuno si accorse di mercurio, piombo e altri gentili composti ed elementi chimici mortali nell’acqua? Oppure tutti sapevano, e nel contempo tacevano? Tutti i responsabili della salute pubblica dagli anni ’70 ad oggi debbono delle risposte.
SCREENING – Scoppiato il mostruoso caso dell’acqua avvelenata, la Regione avrebbe dovuto già da ieri ordinare uno screening immediato sullo stato di salute della popolazione. O meglio, avrebbe dovuto compierlo subito dopo il 2007. Dovremmo oggi disporre di tutti i dati sulla salute della gente. Pare che qualche conato vi sia stato, in passato, e che qualcuno abbia visto girare delle schede da riempire. Se è stato così, dove sono i dati raccolti? Sono stati occultati, oppure addirittura distrutti?
SAPEVANO DAL 2004 – C’è chi oggi dice: istituzioni e alcuni uffici sapevano tutto almeno dal 2004. Giravano carte, rapporti, voci, esposti, timori. Secondo noi, girava semplicemente la logica del buon padre di famiglia: se ci sono migliaia di tonnellate di veleni sotto terra da decenni, ovvio chiedersi se l’acqua sia avvelenata e che qualità abbia l’acqua erogata tramite la rete idrica. Ci avrebbe dovuto pensare qualsiasi sindaco, o autorità sanitaria, o ambientalista (specie quelli che non pensano solo alle farfalle e alle vipere disturbate dagli scavi), o la guardia forestale, oppure la gente che vedeva, sapeva, e taceva. Impossibile passare per cretini ad oltranza credendo che 250.000 tonnellate di veleni vengano sepolti regolarmente e periodicamente, senza che ne accorga qualcuno.
La storia della discarica di Bussi è nata, nel 2007, come un evento allucinante e incredibile. Oggi diventa una storia orrenda, una maschera scheletrica come stemma dell’Abruzzo. E un museo degli orrori da processo di Norimberga, come ha detto un ambientalista. Non spaventare, non allarmare pare fosse il moto sulle labbra di qualche politico o qualche burocrate.
Ricorda molto i tranquillizzanti intenti di coloro che, nel 2009, volevano che gli aquilani considerassero i crescenti terremoti un giochetto della natura. Che triste accostamento.


27 Marzo 2014

Categoria : Cronaca
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